Tutte le declinazioni di "qualcuno e il suo fucile"

Tutte le declinazioni di "qualcuno e il suo fucile"

Gli FPS sono uno dei generi videoludici puramente occidentali più vecchi, e – come tutti i generi – nel corso del tempo hanno subito modifiche più o meno evidenti, attraversando periodi di relativa stabilità e altri di rapidi sconvolgimenti.

In questa pagina voglio redarre una rapida guida alle principali modificazioni che hanno vissuto dalle origini ad oggi. “Rapida” sia perché non intendo entrare nei dettagli per nessun titolo più di quanto non sia strettamente necessario a farne comprendere gli elementi importanti ai fini di questo tema, sia perché ho volutamente evitato qualsiasi commento sui temi e le tendenze artistiche nei vari giochi e nelle varie epoche, argomento enormemente più ampio del genere in sé e su cui qui non mi sembra opportuno fermarsi a riflettere.

 

Da dove derivano gli FPS?

Gli FPS sono un genere derivato originariamente da un’attività extra-videoludica, che ha poi vissuto un’evoluzione strettamente videoludica e si è trasformata in qualcosa di nuovo. Per capirlo bene basta guardare all’inizio degli anni ’70, quando sono nati i primi giochi elettronici basati sul concetto del tiro a segno: penso a Jet Rocket (1970) e Killer Shark (1972), entrambi cabinati da sala giochi di Sega che probabilmente per primi hanno introdotto in un videogioco il concetto di “mira libera” con il solo scopo di sparare a qualcosa, di fatto offrendo a video una visuale in prima persona del personaggio all’interno del mondo di gioco.

 

 

Se questa è l’origine della “mira”, manca però ancora l’altra imprescindibile componente necessaria a chiamare tale un FPS: il movimento. Per recuperarlo, sempre abbinato ad una prospettiva in prima persona, bisogna spostarsi avanti di un altro paio d’anni, più precisamente fino al 1974, quando escono due titoli piuttosto diversi ma accomunati dalla particolarità di essere appunto giochi “mobili” in prima persona: Spasim e Maze War.

Spasim (1974) era un titolo multiplayer per PLATO (un modello di computer di quegli anni) in cui fino a 32 giocatori distribuiti su quattro sistemi planetari “guidavano” una nave spaziale e potevano interagire gli uni con gli altri. Se potremmo parlare di FPS per la definizione che abbiamo usato fino ad ora, cioè un gioco in cui ci si muove e si spara con una visuale in prima persona, i tempi del gameplay erano tutti infinitamente dilatati rispetto a quello che consideriamo oggi un genere in definitiva d’azione.

 

 

Maze War (1974) da parte sua calza di più nell’idea odierna di FPS, perché tutti i comandi erano estremamente semplificati e permettevano alla rapidità di reazione di rivestire una qualche importanza. Insomma, Maze War non era solo un gioco in cui si poteva sparare, ma uno in cui si doveva sparare; o, meglio ancora, in cui sparare era l’unica interazione significativa al di fuori del movimento.

 

http://www.youtube.com/watch?v=7chDIySXK2Q&t=2m36s

 

Qualcuno considera Maze War il primo FPS, qualcun altro lo considera solo un loro predecessore. Tutto dipende dall’inclusione o no dei Maze, un intero sotto-genere nato sull’emulazione di Maze War, come FPS a loro volta. La differenza fondamentale tra FPS propriamente detti e Maze è data dal sistema di spostamento: nei Maze il movimento è incasellato, il giocatore non si sposta liberamente ma su una griglia precostruita, un concetto difficile da avvicinare a quello che gli FPS sono poi diventati.

Sta di fatto che nel 1980 esce quello che possiamo a tutti gli effetti definire il primo FPS a movimento libero, quindi indiscutibilmente tale: Battlezone.

 

 

Esperimenti con le macro-dinamiche

Fino ad ora ci siamo concentrati sulle micro-dinamiche degli FPS e sulle loro derivazioni; quello che invece ancora manca è la definizione di una macro-dinamica consolidata.

Mi spiego meglio. Abbiamo individuato il primo gioco in cui ci si muove e si spara come nei moderni FPS, Battlezone; e questo ci mette in pace con le micro-dinamiche (in sostanza il sistema di controlli, l’inventario e, quando c’è, l’IA). Tutto questo non è però sufficiente a definire veramente un gioco: Battlezone era, tecnicamente parlando, un Arena, cioè un titolo con un unico ambiente aperto non lineare in cui l’unico scopo è eliminare degli avversari e restare in vita. Questa è la macro-dinamica, come è impostato il gioco su una scala più ampia, l’obiettivo della partita e gli impedimenti che si incontrano nel conseguirlo.

Battlezone e diversi altri titoli sviluppati negli anni ’80 (come MIDI Maze, 1987) sarebbero forse da definizione “Arena FPS”: manca un’idea di avanzamento direzionato in cui l’eliminazione dei nemici è un ostacolo lungo il percorso, e non l’obiettivo ultimo. In questa fase, gli anni ’80, la micro-dinamica degli FPS si è praticamente consolidata, seppure mantenendo alcune varianti, ma viene applicata a tutta una pletora confusa di macro-dinamiche, ovvero di obiettivi a cui asserve.

 

Probabilmente 3D Monster Chase (1985), un Maze, è il primo titolo in prima persona ad usare l’idea di un ambiente ristretto in cui era possibile incontrare nemici ed eliminarli, ma il cui ruolo era solo quello di ostacolo lungo la strada per compiere un’altra missione, ovvero recuperare chiavi e disinnescare bombe in tempo. Insomma, è probabilmente il primo “FPS” in cui uccidere è possibile, se non necessario, ma non è l’obiettivo.

 

https://www.youtube.com/watch?v=De-MdtzDNzU

 

Altri giochi decisamente interessanti sono il duo Driller (1987, anche noto come Space Station Oblivion) e Dark Side (1988), uno sequel diretto dell’altro, in cui un personaggio che può muoversi e sparare liberamente in un ambiente 3D deve di fatto risolvere una macro-dinamica da Puzzle, cioè recuperare oggetti e attivarne altri in giro per grandi ambienti (in essi tra l’altro è anche in uso una vecchia micro-dinamica abbandonata, quella per cui movimento e mira sono sconnessi – cioè non si mira sempre al centro dello schermo).

 

 

 

Probabilmente ci sarebbero altri esempi degni di nota, ma non voglio scrivere un’enciclopedia. Mi basta farvi capire come se da una parte i “comandi” da FPS siano ormai entrati in vigore su ampia scala, con solo piccole varianti, c’è ancora molta sperimentazione riguardo il tipo di gioco a cui applicarli, ed è difficile individuare un unico modello di grande successo che faccia da traino ad un “genere” unificato.

 

Il modello a livelli di id Software

A mettere un po’ d’ordine in questo panorama confuso ci pensa id Software, che di fatto inventa uno dei “modelli completi” di FPS più di successo della storia, ancora oggi ampiamente utilizzato: quello a livelli.

 

id Software esordisce con alcuni Platform e Puzzle dimenticati, fino a quando nel 1991 non decide di tentare un proprio approccio agli FPS scrivendosi un’engine grafica propria. Il primo titolo a farne uso è Hovertank 3D, la cui macro-dinamica è ancora una via di mezzo tra le precedenti: il giocatore esplora dei labirinti alla ricerca di persone da salvare, ma in quegli stessi labirinti vagano anche dei nemici, che possono attaccare tanto il giocatore stesso quanto i dispersi. C’è un tempo limite per recuperare tutte le persone; una volta che tutti sono stati raccolti (o uccisi dai mostri) si apre un portale per lasciare il livello, e si riceve un punteggio basato sul numero di umani salvati e sul tempo totalizzato.

 

 

Questa idea di “trova tutti e poi esci” viene pesantemente riveduta per il secondo FPS di id Software, Catacomb 3-D, che adotta una macro-dinamica finalmente ben riconoscibile a tutti noi: livelli sviluppati per diramazioni, non per labirinti circolari, svariati nemici piazzati in giro per la mappa e l’obiettivo di raggiungere un’uscita, spesso dopo aver superato alcune porte che richiedono chiavi uniche da trovare nel corso del livello.

 

 

La macro-dinamica inventata per Catacomb 3D tornerà uguale in Wolfenstein 3D, in Doom, in Quake e in decine, per non dire centinaia, di FPS usciti fino ai giorni nostri.

Ovviamente nel corso del tempo subirà ulteriori variazioni: le chiavi sono la prima cosa a sparire, a volte sostituite da eventi scriptati particolari dipendenti dal contesto che mantengono l’idea di dover raggiungere un punto della mappa per liberare una strada da un’altra parte (“il ponte è bloccato, trova il comando per aprirlo”; la similitudine con “ti serve la chiave rossa per proseguire” è piuttosto immediata), ma più spesso la cui funzione va semplicemente a perdersi in campagne molto più complicate e variegate (ad esempio qualcosa del tipo: avanza, resisti, avanza, sblocca percorso e torna indietro, sequenza scriptata, avanza…) – complicazione a cui molto spesso si oppone una maggiore linearità dei livelli stessi.

 

Nel grosso degli FPS usciti da allora ad oggi, comunque, si mantiene ancora l’idea di un avanzamento in un’unica direzione lungo un livello con più o meno diramazioni, da un inzio ad una fine attraverso tutto quello che si incontra nel mezzo. Questo stesso identico principio, che ora ci pare quasi scontato ma che fino a vent’anni fa non lo era affatto, accomuna le campagne single-player di virtualmente tutti gli FPS single-player più famosi di sempre, da Doom a Battlefield, da Quake ad Halo, da Medal of Honor a Killzone, da Half-Life a Call of Duty.

 

Altre, più rare, macro-dinamiche negli FPS

Questo non significa che esistano solo FPS che seguono questo tipo di macro-dinamica; c’è tutta una serie di eccezioni più o meno strane.

 

Abbiamo ancora diversi titoli Arena, che è da parte sua invece il modello di gran lunga più di successo per gli FPS multiplayer, su cui però eviterei di approfondire oltre. Il modello ad Arena per il single-player, al contrario, non si è visto praticamente mai negli ultimi 20 anni, e anche quando lo troviamo è quasi sempre d’accompagnamento a multiplayer Arena (vedi Quake 3 e Unreal Tournament).

 

https://www.youtube.com/watch?v=wgUlOT3Cwfg

 

In casi più rari sono stati realizzati FPS single-player “aperti”, cioè in cui gli obiettivi da completare sono sparsi in giro per livelli che non spingono lungo particolari sentieri e sono esplorabili tutti in qualsiasi momento – ma i singoli livelli, ognuno con i propri obiettivi, restano chiusi in comparti stagni. Un esempio potrebbe essere Giants: Citizen Kabuto (2000), che però da parte sua non mantiene neanche così saldamente le micro-dinamiche di un FPS. Anche il primo Crysis (2007) si configura bene sotto questa categoria.

 

 

L’idea di un unico mondo fatto di svariati livelli tutti collegati viene occasionalmente sfruttata per creare delle sorte di “mega-avventure” uniche, in cui si deve tanto uccidere nemici su nemici quanto scoprire segreti e recuperare oggetti speciali per poter proseguire nella partita. Sono anch’essi casi rari e molto specifici; questo concetto è perfettamente incarnato in Hexen: Beyond Heretic (1995), e a partire dai già citati Drill e Dark Side ne si trova un suggestivo “anello mancante” in ShadowCaster (1993), sempre di Raven Software.

 

 

Ci sono poi i casi in cui una micro-dinamica da FPS si combina alla macro-dinamica tipica di un altro genere, soprattutto alcune di quelle degli RPG. La vulgata comune assegna agli RPG la maggior flessibilità e agli FPS i canoni più stringenti, cosa con cui personalmente mi trovo in linea di massima d’accordo, quindi almeno titoli come la saga di The Elder Scrolls e i suoi derivati concettuali (per esempio Arx Fatalis, 2002), in cui “mirare” spesso non è un elemento così fondamentale, mentre le componenti puramente RPG sono indiscutibili e preponderanti, sarebbero probabilmente meglio discussi leggedoli come RPG con controlli in prima persona.

 

Possiamo invece trovare più da ridire su un ulteriore modello che sinceramente non saprei a cosa avvicinare, cioè quello dell’ FPS con “hub”, che negli scorsi anni si è ricavato un po’ di spazio. Si tratta di FPS (l’idea dell’hub non è certo unica degli FPS, anzi, probabilmente non deriva neanche da quelli, ma non vorrei andare fuori tema) in cui le varie missioni da compiere non sono presentate in modo automatico una dopo l’altra, ma vanno iniziate viaggiando avanti e indietro per uno o più ambienti di collegamento, che si visitano svariate volte nel corso del gioco e sono di fatto aperti.

L’esempio perfetto è The Darkness (2007), a cui possiamo aggiungere di sicuro Wolfenstein (2009) e volendo Rage (2011) e tutti gli altri titoli simili, che tuttavia cadono già in una posizione più a metà tra questo semplice concetto di spostamento libero e veri e propri RPG (che implicano tutta una serie di sistemi aggiuntivi presenti solo in parte in questi giochi). Anche se con delle piccole differenze strutturali, credo che il primo FPS a seguire questo tipo di idea vada individuato in Strife (1996).

 

 

L’elenco non finirebbe qui (giusto per fare un altro esempio, guardate a Rainbox Six, di cui parlerò tra poco), ma credo stiamo scendendo in particolari un po’ troppo puntigliosi per essere discussi in questa pagina. Mi accontento se avete capito bene la differenza tra cos’è un FPS lineare a livelli e cosa non lo è, e come le stesse micro-dinamiche si possano applicare a diverse macro-dinamiche.

 

La costante evoluzione delle micro-dinamiche

Se, come abbiamo detto, id Software stabilisce nel 1991 il principio dietro cui le macro-dinamiche che diversi FPS di lì in avanti seguiranno, lo stesso discorso non si può certo fare per le micro-dinamiche, che vengono rivisitate, cambiate e combiante costantemente nei quasi 25 anni passati da allora ad oggi. Individuare ogni singola nuova idea ed influenza nata e morta nel corso degli anni è un compito che riempirebbe non un articolo ma un libro, anche assunto di avere già le conoscenze dirette coi giochi necessarie per parlarne; quello che voglio fare è individuare delle “linee principali”, ben evidenti e ben caratterizzabili nel corso degli anni.

 

Ripartiamo da dove avevamo lasciato id Software, e diamo una rapida occhiata a Catacomb 3-D e ai successivi Wolfenstein 3D e Doom. Una cosa abbastanza evidente è la crescente mobilità del giocatore, sia in termini di velocità che di manovrabilità. Questi giochi si fanno man mano più frenetici e la prontezza di riflessi nel gestire movimenti di una semplicità al limite dell’intuizione scavalca, fino a soppiantarla del tutto, la necessità di interiorizzare meccaniche strane o poco pratiche.

 

 

 

Un po’ Doom, e poi definitivamente Quake (1996), movimentano ulteriormente l’azione grazie all’aggiunta di più livelli di altezza su cui si svolge il gioco, elemento destinato a rimanere sostanzialmente per sempre dal momento in cui il 3D “vero” e completo diventa il nuovo standard per gli FPS.

 

https://www.youtube.com/watch?v=P8QcFd3x-g8

 

Questo è l’apice degli FPS “veloci”, che pure rimarranno di moda per alcuni anni a seguire. Intanto si inizia a ricercare in altre direzioni. Lentamente gli FPS perdono la loro componente Arcade e iniziano a guardare più attentamente la realtà che imitano. All’inizio e per un certo periodo le due anime convivono – è in questa fase che va inserito, tra gli altri, Half-Life (1998) – ma alla fine sarà quella “realistica” a prevalere.

I primi FPS in cui l’uso delle armi è più credibile di quanto visto da parte di id Software è precedente, ma non c’è dubbio che Tom Clancy’s Rainbow Six (1998) introduca di colpo tutta una serie di novità che puntano a rendere il genere più “simulativo”, in un’epoca in cui gli FPS erano ancora quanto mai Arcade. Non ha la forza di imporsi di colpo come nuovo standard, ma è evidente che si sta muovendo in tempi molto rapidi qualcosa di grosso.

 

 

Ci stiamo spostando verso il caratteristico FPS dei primi anni 2’000: il movimento è decisamente più lento che nei titoli di id Software (e magari c’è una distinzione più marcata tra spostamento in avanti e corsa); bisogna iniziare a pensare di coprirsi con l’ambiente invece che schivare i colpi correndo a destra e a sinistra; le armi hanno meccanismi di ricarica non automatici e insiti nello sparare stesso; inizia a diffondersi il concetto di una diversa dispersione dei colpi in base alla posizione e al movimento del giocatore, e con essa arriva anche la distinzione tra sparare mirando e senza mirare.

I giochi che racchiudono in sé tutti questi elmenti sono decine, e cercare di individuare quali singolarmente hanno introdotto cosa, come e quando è al di sopra delle mie attuali conoscenze, nonché completamente inutile ai fini di questo articolo. Per questo motivo mi limiterò ad inserire un filmato di Medal of Honor: European Assault, che li include tutti e so essere un ottimo esempio dell’FPS medio di questo periodo.

 

https://www.youtube.com/watch?v=SB6SLMXXwD4

 

La gestione delle armi resta un punto dibattuto più a lungo. Se nei primi FPS, quelli “veloci”, si prevedeva praticamente sempre che il giocatore le ottenesse man mano che avanzava e le conservasse tutte, fino ad un totale in genere di 6-10, con il passaggio verso il modello “realistico” si iniziano a mettere un limite e la necessità di fare delle scelte, o meglio di arrangiarsi come meglio si riesce cambiando continuamente equipaggiamento man mano che si resta senza colpi o ci si trova ad affrontare avversari per cui non si è preparati.

Halo (2001) è un ottimo esempio di FPS in cui il numero di armi a disposizione è non solo limitato, ma gioca una componente importante nell’economia del gameplay. La serie è caratterizzata anche da diverse altre scelte più o meno originali e insolite, ma visto che non ha mai dato vita ad un vero e proprio genere non mi sembra il caso di approfondirla ulteriormente.

 

 

Nella seconda metà degli anni 2’000 gli FPS si stabilizzano sempre di più su un modello in cui il posizionamento ha soppiantato completamente il movimento. Sono i cosiddetti “FPS a coperture”, che tentano di imitare le dinamiche di uno scontro a fuoco realistico di tipo militare. In questi giochi la salute si rigenera spesso da sola col tempo, anche se il modello a cure nell’inventario o addirittura nell’ambiente non è mai scomparso definitivamente. L’esponente più ovvio impossibile da non citare, che con il suo enorme successo dà il colpo di grazia ad ogni resistenza residua della filosofia Arcade nella stragrande maggioranza dell’industria, è Call of Duty 4: Modern Warfare.

 

 

Cosa aspettarci dal prossimo futuro?

I passaggi chiaramente individuabili avvenuti fino ad oggi sono questi, ma ci sono già segnali di ulteriori cambiamenti in corso. Verso cosa, beh, questo è più difficile da dire con precisione; ma posso provare a fare delle ipotesi.

 

In primo luogo, si iniziano a vedere diversi FPS che incorporano dinamiche Stealth più o meno approfondite, su cui tutta la micro-struttura finisce spesso per poggiare. Significa che ora i nemici spesso non sanno da definizione dove siete e che ci siete, ma che avete almeno una possibilità di giocarvela in silenzio, eliminando gli avversari uno alla volta oppure non eliminandoli affatto, e che solo se vi fate scoprire dovete uscirne con uno scontro a fuoco vecchio stile.

Già nelle campagne di diversi titoli tradizionali comparivano piccole fasi di questo tipo (non ultimi i Modern Warfare), ma almeno due giochi di un certo livello, Dishonored (2012) e Metro: Last Light (2013), sono costruiti in buona parte su questo principio. Il fatto che entrambi includano anche evidenti componenti RPG, più o meno sviluppate, mi fa supporre che questa nuova filosofia sia derivata proprio da quelli, in particolare dal filone di RPG-FPS ben esemplificato da Deus Ex (1: 2000; Invisible War: 2003; Human Revolution: 2011). Se volessimo andare ancora più a ritroso il concetto di un titolo in prima persona incentrato sullo “stealth” per come lo intendiamo oggi va individuato nella serie di Thief (The Dark Project: 1998; The Metal Age: 2000; Deadly Shadows: 2004; Thief: 2014), ma gli anelli mancanti tra quella e i titoli di cui parlo ora sono decisamente troppi per farmi vagliare la possibilità di una pura ispirazione diretta.

 

 

Dall’altra parte, intanto, ci sono diversi titoli che accennano ad un “ritorno alle origini” dell’Arcade di id Software, cioè ad un gameplay più basato sul movimento e sulla rapidità che sul posizionamento. Questa variante non è mai completamente morta, arrivando fino a noi tramite giochi come Painkiller (2004), Doom 3 (2004), Serious Sam 3: BFE (2011) e in una certa misura il recentissimo Wolfenstein: The New Order (2014). Anche il reboot di Doom (2015/16?), stando ai preview della stampa di settore, sembra si muoverà marcatamente in questa direzione.

 

 

Per quel che riguarda le macro-dinamiche, invece, la tendenza praticamente unanime oggi è quella dell’uso di un modello standard a livelli o ad hub (che negli ultimi anni sembra stare riguadagnando terreno) con aggiunti deboli elementi RPG, ad esempio il progressivo potenziamento del personaggio, la presenza di scelte o accennati sistemi economici. Spesso queste componenti non giocano un ruolo preponderante in termini di macro-dinamiche, ma rimangono estremamente importanti nella strutturazione delle micro-dinamiche, come ad esempio nella serie Bioshock (1: 2007; 2: 2010; Infinite: 2013). Non fatico ad immaginare una loro ulteriore crescita di importanza nel tempo, probabilmente fino a far sparire del tutto l’immaginaria linea di divisione tra i due generi che già è stata messa a durissima prova da serie come S.T.A.L.K.E.R. (Shadow of Chernobyl: 2007; Clear Sky: 2008; Call of Pripyat: 2010) e Borderlands (1: 2009; 2: 2012; The Pre-Sequel: 2014).

 

 

Ad ogni modo, tirando le somme, l’unica cosa su cui credo ci siano pochi dubbi è che siamo già con almeno un piede dentro ad una nuova grande fase di sperimentazioni e cambiamenti, che porterà nei prossimi anni alla definizione di nuovi standard dettati dalla ricombinazione che uscirà al meglio da tutti questi singoli elementi, che per adesso possono solo apparire piuttosto confusi.

Ora non resta che vedere cosa gli FPS hanno in serbo per noi negli anni a venire.

Lorenzo Forini
Sono nato a Bologna nel 1993, videogioco da sempre, e da sempre mi ha affascinato l'idea di andare oltre al solo giocare, di cercare di capire cosa c'è nascosto in ogni titolo dietro al sipario più immediato da cogliere. Se i videogiochi sono una forma d'arte, forse è il caso di iniziare a studiarli davvero come tali.

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