RetroGaming, puntata 12: Darkwatch (2005; PS2, Xbox)

RetroGaming, puntata 12: Darkwatch (2005; PS2, Xbox)

Generalmente scrivo di giochi completamente o quasi completamente dimenticati, e tendenzialmente anche di dieci o più anni fa. Il gioco di oggi non è così sconosciuto, e non è neanche così vecchio, ma è qualcosa di cui voglio parlare da diverso tempo, e che non mi sembra giusto lasciare ulteriormente nell’ombra.

 

Darkwatch è un FPS uscito nella seconda metà del 2005, ovvero in pieno tramonto dell’era PS2/Xbox. Ma non è un normale FPS come le decine che le due console hanno conosciuto. È qualcosa che, per quel che ne so, è assolutamente unico: è un clone di Halo.

Per “clone di Halo” non intendo che riprende i temi e le ambientazioni fantascientifiche molto armaturose e laserose della serie di Bungie – cosa che invece in parecchi hanno cercato di fare, chi più chi meno palesemente e tutti con scarso successo – ma che ne studia e adatta il particolare gameplay ad un contesto completamente diverso. Ed è per questo che Darkwatch funziona bene: prende una formula vincente ma non già stra-riciclata e le dà un contesto nuovo, invece di cercare di sfruttare un contesto conosciuto ma sfornando un gioco mediocre o banale con un gameplay mal riuscito.

 

Darkwatch 1

Questo, signore e signori, è parecchio in alto nella scala della figaggine.
Immagine originale qui.

 

La trama di Darkwatch è l’ultima ragione per cui questa pagina sta venendo scritta, e non voglio neanche fare finta che sia nulla di più che un pretesto per far finire il giocatore in vari posti e sparare a varie robe. Un vampiro millenario si libera, ti vampirizza e tu devi farti lui e tutte le bestie che scatena contro il mondo. Tanto basti.

 

Ma c’è una differenza sostanziale tra “trama” e “contesto”. Ed è il contesto, l’ambientazione, lo stile di Darkwatch a dargli, tra le altre cose, una marcia in più. Darkwatch è in primo luogo qualcosa che non sa di già visto; il design dei mostri non è incredibilmente elaborato, ma è di sicuro unico.

I nemici, ben studiati e realizzati, sono uno strano mescolone di horror e western, che riesce però a non trabordare mai in nessuna delle due direzioni e si mantiene molto abilmente in un qualcosa nel mezzo perfettamente coerente con se stesso. A scheletri con falcetti si abbinano pistoleri e tiratori scelti non-morti, con qualche tocco di banshee vestite come donne dell’Ottocento. Ci sono poi anche cose meno facilmente identificabili, primi tra tutti… questi affari:

Darkwatch - Oozer

Where Quake meets XIX Century

 

Il design dei mostri è perfettamente in linea con quello del Far West stesso di Darkwatch, che è (per il poco che ne vediamo) grigio, cupo, ma sempre caratterizzato da linee semplici e ambienti con pochi elementi artificiali, secchi e desertici, come quelli di un reale deserto nordamericano.

 

Ma dopo e ancora più che nemici ed ambientazioni, qual è la cosa che in un FPS richede un design di classe? Le armi, ovviamente. E in Darkwatch le armi non deludono, finendo se possibile per essere la cosa in assoluto più azzeccata di tutto il comparto artistico.

I colori sono in tinta col gioco, alternando neri e argenti opachi, per dare l’effetto finale di oggetti di solida fabbricazione ma per nulla pacchiani e comunque usati dal tempo. Un tema di fondo che ritorna in tutto l’arsenale del gioco sembra essere quello delle croci; ci sono croci su tutto, dai tamburi dei revolver e dei fucili al mirino di una doppia gatling. Molto più interessanti delle croci sono poi le lame montate ovunque. Il calcio di tre quarti delle cose termina con una lunga e rozza lama affilata, e il rimanente quarto ne ha un paio più semplicemente montate sotto alla canna.

 

 

Le armi non sono solo di bell’aspetto; dà anche parecchia soddisfazione usarle. E qui abbandono gli aspetti concettuali ed entro nel merito del gameplay.

 

Darkwatch non è un gioco particolarmente “elaborato”. È un FPS del 2005 prodotto da uno studio sconoscuto, non potete pretendere che sia Bioshock: Infinite. Ma nella sua monotonia, linearità e prevedibilità Darkwatch funziona per la semplice ragione che sparare alle cose dà una soddisfazione incredibile (probabilmente più che in Infinite, per inciso).

I nemici hanno un’implementazione fisica notevole per l’epoca: alcuni arti saltano, le esplosioni sparano via la gente, i cadaveri rimangono parzialmente fisici (no, non li si può t-baggare; il giocatore non è fisico). Su una una PS2 non era per nulla scontato poter tirare fuori due revolver, mettersi a sparare ad un rateo impossibile e far volare via la gente da tanti colpi che prendeva. Così come non era scontato poter sparare una fucilata ad un cecchino zombie e fargli saltare un braccio, vedendolo ruotare per il contraccolpo nella direzione dell’arto saltato, tirare una seconda fucilata e far partire l’altro braccio e guardarlo per un istante mostrarti i denti minaccioso, ormai senza possibilità di offesa, prima di usare il terzo colpo per fargli saltare la testa.

 

Darkwatch rifle

FUORI dalla mia proprietà!

 

Oltre alle armi, che sono in tutto una decina, il giocatore ha a disposizione una serie di poteri, che crescono nel tempo sia trovando e liberando o assorbendo delle “anime” nel corso delle missioni sia con eventi proposti dalla trama. I poteri sono otto, e sono divisi tra “bene” e “male”. Ogni volta che si accumulerà “esperienza” per sbloccare nuovi poteri sarà possibile decidere a quale delle due colonne assegnarla; lo sblocco dei poteri è lineare, non selettivo, quindi conviene puntare tutto su una delle due serie per arrivare più in fretta al quarto e ultimo, il migliore e l’unico veramente utile.

I poteri sono infatti un elemento interessante e abbastanza originale in un gioco del genere, ma finiscono molto dimenticati e suonano un po’ come un’occasione sprecata per aggiungere ulteriore profondità. Il grosso di essi non serve mai veramente così tanto, tranne che in situazioni estreme e solo alle difficoltà più alte, ma soprattutto non aggiungono quasi nulla al gameplay. L’ultimo potere di entrambe le serie causa danni diretti ed è l’unico che può servire davvero, ma giuro che la metà delle volte mi scordo anche solo di averli, e gioco perfettamente anche senza.

 

Come dicevo all’inizio, Darkwatch guarda molto ad Halo come gameplay, soprattutto per la possibilità di eseguire salti alti e molto ammortizzati, stile Luna, e per la particolarità di avere uno scudo auto-rigenerante prima della vita vera e propria. Non è un gioco “frenetico”, come poteva ad esempio essere già Medal of Honor (quello che vi pare tra quelli per PS2; per comodità, dico European Assault), è esattamente l’opposto, cioè un gioco di lenti salti su lunghe distanze, tuoi e dei nemici. Il tutto mentre una decina di cose più o meno antropomorfe cercano di dilaniarti in vari modi, ma senza diventerebbe decisamente noioso.

Il sistema di controllo non è straordinario, ma è proporzionato al livello di sfida e alle dinamiche dei nemici. Darkwatch non è pensato come multiplayer competitivo, ma per sparare a cose tendenzialmente ferme o lente, o comunque dagli spostamenti prevedibili, quindi alla fine tutto funziona come dovrebbe.

 

Le difficoltà sono quattro, e ce n’è davvero per tutti i gusti. Alla prima si è in un poligono di tiro semovente; morire è più difficile che vivere, se anche solo ci si prova. Alla seconda ce la si cava ancora egregiamente, ma in certi momenti bisogna stare attenti a come gestire la situazione. Alla terza il gioco è finibile, ma non senza sforzo, e si dovranno rigiocare alcune sezioni più volte per passarle. Alla quarta sono imprecazioni, di quelle serie e che al Papa non farebbe piacere sentire (non che tutte le altre lo divertano, immagino, ma comunque…).

L’unica cosa di Darkwatch ad essere veramente mal bilanciata è la battaglia con l’ultimo boss, che alle ultime due difficoltà non è impegnativa, è letteralmente tendente all’impossibile, e bisogna sia capire degli stratagemmi assurdi per evitare di essere colpiti da certi attacchi sia essere spaventosamente attenti (penultima difficoltà) o impeccabili (ultima) nell’esecuzione, per una decina di minuti abbondanti e trovandosi costantemente di fronte a cose nuove da schivare o incassare in qualche modo.

 

 

Un valore aggiunto inaspettato è la cooperativa locale. È inaspettato intanto perché su PS2 non molti FPS anche solo avevano una cooperativa, e in secondo luogo perché in quasi tutti si finiva solo per fare più casino che da soli. Qui il casino è parte del divertimento, quindi più gente che corre da tutte le parti facendo saltare per aria roba può essere solo un bene.

Io e un mio amico abbiamo finito in cooperativa Darkwatch almeno tre o quattro volte, l’ultima neanche un mese fa, e ci siamo veramente divertiti nel farlo. Un mese fa, nel 2013, a otto anni di distanza dall’uscita del gioco. Io ho una PS4 in casa, lui è una persona normale, non un fanatico del retrogaming o altro, eppure Darkwatch in cooperativa è riuscito, almeno per sei o sette ore in tutto, a passare sopra a otto anni di giochi e almeno una generazione di console. Un traguardo che non sottovaluterei.

 

Darkwatch crossbow

Dose di redenzione in arrivo.
Immagine originale qui.

 

L’unico vero grosso difetto di Darkwatch è che, soprattutto quando ci sono due giocatori in campo, certe situazioni mettono davvero in ginocchio la PS2. Ho l’impressione che per reggere i due giocatori il gioco venga già a prescindere eseguito con texture e modelli peggiori, ma potrebbe essere dovuto alla bassa risoluzione e al poco spazio offerto dallo split screen. In ogni caso, soprattutto quando la mappa è molto affollata, i 30 frame li si vede col binocolo, anche se non ho fatto studi scientifici su dove si arrivi effettivamente (direi poco sopra i 20, circa; davvero molto raramente sotto). La cosa non è comunque onnipresente, e – ancora più importante – non inficia il gioco una volta che ci si fa l’abitudine, visto appunto il ritmo non frenetico del grosso delle sezioni di fuoco e i tempi larghi per mirare e muoversi che l’IA lascia.

Non ho idea se la cosa migliori nella versione Xbox o magari giocando il disco PS2 su una PS3 Fat. Possibile, ma non ci scommetterei troppo. In alternativa c’è l’emulazione su PC, con risultati che però non mi azzardo a pronosticare.

 

 

In conclusione, Darkwatch non è un gioco perfetto, non è una “perla perduta” e non è di sicuro un capolavoro della storia dei videogiochi, ma è qualcosa che – in perfetto stile “era PS2” – si prefissa degli obiettivi limitati e chiari e li raggiunge in pieno. Motivo per cui ancora oggi ci si gioca volentieri da soli almeno una volta e ancora più volentieri con un amico.

Se lo trovate prendetelo, saranno (pochi) soldi ben spesi. E poi potrete sparare frecce esplosive con una balestra. E sì, i nemici colpiti si rendono conto di avere i secondi contati e iniziano a correre in giro nel panico più totale. Momenti inestimabili.

Lorenzo Forini
Sono nato a Bologna nel 1993, videogioco da sempre, e da sempre mi ha affascinato l'idea di andare oltre al solo giocare, di cercare di capire cosa c'è nascosto in ogni titolo dietro al sipario più immediato da cogliere. Se i videogiochi sono una forma d'arte, forse è il caso di iniziare a studiarli davvero come tali.

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