yooka-laylee

Correva l’anno 1999. L’autore di questa recensione, ormai alla soglia dei 5 anni, riceveva in regalo per Natale la sua prima console: un Nintendo 64 fiammante, con annessa una cartuccia sulla cui copertina figurava una strega che, all’epoca, risultava davvero, davvero inquietante. Mi riferisco ovviamente a Banjo-Kazooie.

Nonostante il timore, ma che dico, il terrore che provavo nei confronti della malvagia Gruntilda (la strega di cui si parlava), non potevo fare a meno di passare spensierati pomeriggi a esplorare i magici mondi tridimensionali che il gioco offriva, per cercare di recuperare ogni singolo collezionabile nascosto nei luoghi più impensabili e apparentemente irragiungibili. Banjo-Kazooie ha condizionato non solo la mia infanzia, ma anche quella che sarebbe poi diventata la mia più grande passione, i videogiochi.

Quando circa due anni fa venni a conoscenza del fatto  che un gruppo di ex dipendenti Rare stava raccogliendo fondi su Kickstarter per sviluppare Yooka-Laylee, il seguito spirituale di Banjo-Kazooie, la mia reazione fu pacata e composta. Maledicendo la povertà da studente universitario, non potei far altro che sperare che ci fossero altri nostalgici con possibilità finanziarie adeguate a sostenere il progetto. Fui accontentato: 38 minuti dopo l’apertura del crowdfunding il goal di 175.000£ per iniziare lo sviluppo venne raggiunto. 21 ore dopo, la cifra raccolta era di un milione di dollari. Playtonic, questo il nome dello studio di sviluppo, aveva colpito dritto nei feels dei giocatori dei mid 90’s, desiderosi di poter placare la nostalgia dei tempi d’oro del platforming, del 3D, della gioventù, videoludica e non. Dietro Yooka-Laylee c’è quindi un preciso intento, un’ “operazione nostalgia” atta a risvegliare in molti giocatori stimoli e passioni ormai sopite.

Il perchè di queste poche righe introduttive quasi autobibliografiche che mi sono sentito in dovere di scrivere è presto detto: l’obiettività, già di per sè difficile da applicare quando si va a recensire un titolo, è in questo caso ancor più minata. Si cercherà comunque di mantenere un approccio più pragmatico possibile, ma siate comprensivi, e prendete ciò che viene scritto  “cum grano salis”.

Cominciamo

 

C’erano una volta un camaleonte e un pipistrello…

Il malvagio Capital B, assieme al fidato partner Dr. Quack hanno appena perfezionato una macchina in grado di risucchiare letteralmente le pagine di ogni libro esistente, in modo da poter trarne profitto. Capital B ha però preso di mira un libro in particolare e, guarda caso, i proprietari sono proprio Yooka e Laylee, il camaleonte verde e la pipistrellina viola protagonisti del gioco. Questo particolare tomo magico permetterebbe infatti al malvagio Capital di conquistare e dominare il mondo. Durante il risucchio, però, il libro si rompe, e le sue pagine (entità senzienti che d’ora in poi si chiameranno “pagie”) vengono sparse in tutti e cinque i livelli di gioco. Il nostro obiettivo è semplice: ritrovarle tutte per impedire a Capital B e Dr. Quack di portare a termine il loro spietato piano. Il plot è evidentemente una componente di contorno e tutt’altro che esaltante ma, per chi ha passato gli ultimi 30 anni videoludici a rincorrere una principessa da un castello all’altro, il recupero di “pagie” magiche rappresenta un motivo ben più che sufficiente per mettersi al lavoro.

Dopo i primi minuti di tutorial iniziale a ShipWreck Creek e dopo aver fatto la conoscenza di Trowzer, il nostro serpentino mercante di fiducia, ci avventureremo all’interno delle Hivory Towers, sede dell’industria di Capital B, nonchè hub centrale del gioco. Trowzer è solo il primo degli NPC che incontreremo durante l’avventura (potete trovare una foto di gruppo del cast in fondo alla recensione), un assortimento di personaggi stravaganti e coloratissimi ma facilmente dimenticabili. Da qui dovremo trovare la strada per sbloccare tutti  i mondi di gioco, i quali si presentano sotto forma di grandi libri. Ai giocatori viene lasciata la piena libertà di scelta riguardo a quali livelli affrontare e quanto soffermarsi su ciascuno di essi, libertà che però è limitata dalle abilità che il nostro camaleonte e la nostra pipistrellina avranno appreso. Il primo mondo di gioco, Tribalstack Tropics, è forse quello meglio realizzato e caratterizzato. Colori sgargianti e tante attività da svolgere ci fanno iniziare l’avventura con confermato ottimismo e entusiasmo. Persino il terribile “doppiaggio” dei personaggi, fatto di grugniti e mugolii ripetuti allo spasmo, triste omaggio all’originale Banjo-Kazooie, riesce a passare in secondo piano. E proprio come il suo antenato, Yooka-Laylee si configura come un “collect-a-thon”, ovvero un platform in cui il filo conduttore è costituito dall’incessante ricerca di collezionabili: dalle “pagie”, valuta principale per sbloccare nuovi mondi o ampliare quelli già scoperti, alle piume, che utilizzeremo per sbloccare nuove abilità vendute dal buon vecchio Trowzer. Ma non è finita qui: all’interno di ogni livello sono disseminati dei fantasmini, ciascuno catturabile secondo precise modalità; un particolare oggetto chiamato Mollycool, che ci permetterà di sbloccare una trasformazione diversa per ogni mondo presso un determinato NPC;  dei particolari coin per sbloccare dei minigiochi retrò nella salagiochi gestita da un dinosauro in “pixelloso”…insomma, riuscire a scovare ogni singolo oggetto sembra davvero un’impresa titanica. Questo perchè, se è vero che molti oggetti sono messi in bella vista per permettere al giocatore più casual di proseguire con facilità, è anche vero che gli sviluppatori non si sono dimenticati dei giocatori più “hardcore”, che saranno costretti a perlustrare con attenzione ogni angolo e a metter in pratica un furioso (e talvolta frustrante) backtracking per riuscire finalmente a portare il completamento del gioco al fatidico 100%.

Una volta esplorato e ampliato il primo mondo, raccolta buona parte dei collezionabili e fatto un interessantissimo incontro di cui non vi spoilero nulla, ho deciso che era l’ora di scoprire il prossimo livello e qui, purtroppo, hanno iniziato a insinuarsi dentro di me funeste perplessità: se è vero che la libertà di agire da un lato è soddisfacente, dall’altro, può risultare davvero confusionaria e spiazzante. Spesso, complice anche un gameplay legnoso e una telecamera a dir poco bizzosa, ci troveremo testardamente a cercare di raggiungere un determinato collezionabile che sembra a portata di salto, per poi scoprire in realtà che sarà necessario tornare in seguito, quando saremo entrati in possesso di una determinata abilità che renderà il tutto una passeggiata. Anche il combattimento contro i boss di livello, assolutamente facoltativo, risulta ostico fin dal primo mondo, non solo per meccaniche punitive a cui non siamo più molto abituati, ma soprattutto per la già citata eccessiva legnosità dei controlli.

Una volta tornati all’hub bisogna sempre trovare la strada per il nuovo mondo, utilizzando le abilità che avremo appreso in quello appena visitato. E’ proprio qui che l’assenza di una semplice mappa di gioco (beato sia chi l’ha introdotta nei videogiochi) si fa sentire, e parecchio. Riuscire a trovare la strada giusta non è sempre intuitivo e ricordarsi ciò che si è lasciato indietro poichè non si aveva le abilità per andare avanti ancora meno. Spesso ci troveremo a girare a vuoto, confusi, soli e smarriti. Non aiuta in questo il totale mutismo dei due personaggi, ironici e pungenti(anche troppo) durante i dialoghi e le cutscenes, ma assolutamente inesistenti durante la fasi di gameplay. Una volta scoperto il secondo mondo, Glitterglaze Glacier, finalmente la verità mi è piombata addosso come un macigno: i platform collecth-a-thon sono invecchiati malissimo, IO sono invecchiato malissimo.

Non è tempo per noi

L’idea di dover ricominciare da capo a raccogliere collezionabili in un mondo che, tra l’altro, non mi ha fatto impazzire fin da subito come design, e con neanche la più pallida idea di dove iniziare, devo dire che mi ha inizialmente gettato un po’ nello sconforto. Non ha aiutato in questo caso l’immensa vastità di aree pressochè vuote e desolate, con nemici a fare più da comparsa che da pericolo da combattere. Aprendo un parentesi, ho trovato la realizzazione dei 5 livelli dannatamente altalenante sia a livello di ispirazione quanto di vero e proprio map design. Si salvano il primo e l’ultimo livello. Tornando a noi, è vero che si sbloccano nuove meccaniche come la planata di Laylee o la possibilità di assumere le caratteristiche degli oggetti ingeriti da Yooka ma, onestamente, non è abbastanza. Finito l’entusiasmo delle prime due ore si è fatta sempre più forte in me la consapevolezza che lo sviluppo, non solo come persona, ma anche dell’industria videoludica in generale,mi abbia profondamente cambiato. Siamo abituati a pretendere molto di più da un videogioco, anche se di nicchia. Non può bastare l’effetto nostalgia e una grafica “moderna” (ma non priva di difetti) a tenera a galla un platform che pecca su punti cardine fondamentali come la gestione della telecamera o il design dei livelli. Yooka-Laylee, in sostanza, eredità pregi e difetti non solo di Banjo-Kazooie, ma un po’ di tutti i platform 3D degli anni d’oro, con la sola differenza che sono passati 20 anni e, inevitabilmente, i palati dei giocatori si sono raffinati, nuovi affascinanti generi sono nati e cresciuti, l’industria videoludica in toto è maturata, proprio come noi. Proseguo dunque affrontando la nostalgia che si appollaia sulle mie spalle come Laylee, superando corse frenetiche con un carro da miniera di nome Kartos, perdendomi all’interno di un labirinto in visuale isometrica,  e giungo infine al fatidico quiz (anche questo triste retaggio di B&K) su quante pagie o piume ho raccolto fin’ora, o qual era il nome di quell’NPC dalle fattezze suine incontrato nel primo livello. “Non barare guardando su Yookapedia”, mi avverte Dr.Quack, altra conferma che certe meccaniche, ad oggi, sono davvero insensate.

E così, dopo circa 12 ore di gioco, si arriva finalmente alle porte  del boss finale, il famigerato Capital B. Ad attenderci, però, un’amara sorpresa: per avere l’onore di completare il gioco, è necessario pagare 100 pagie (su un totale di 170 presenti in tutto il gioco). Credetemi, il numero è davvero alto  e richiede parecchio tempo e impegno. Non ce l’ho fatta, lo ammetto. Non solo per mancanza di voglia o tempo, ma anche e soprattutto perchè la libertà concessa durante tutta l’avventura si è rivelata nient’altro che un illusione: “ehi tu, hai fatto come volevi finora, adesso però torna indietro e esplora per bene, altrimenti di qui non esci!”. No, grazie.

Tecnicamente parlando

Abbiamo giocato il titolo con una build non definitiva ma pesantemente patchata, sulla seguente configurazione:

  • CPU Intel Core i5 6500 @ 3.2GHz
  • 8Gb RAM DDR4
  • GPU Gtx 970 4Gb
  • W10 Pro, risoluzione schermo 1920×1080

L’approccio grafico è soddisfacente, con uno stile volutamente cartoon e una paletta di colori vivace ma mai aggressiva. Il titolo gira fluidamente ma soffre parecchio in presenza di fuoco a schermo, in questi casi assistiamo a cali notevoli. Presente anche un bug che vede interrompersi totalmente l’audio per qualche secondo per poi ripristinarsi autonomamente. Non abbiamo avuto esperienze di altre problematiche importanti. La colonna sonora è sicuramente un grande pro, merito dell’esperienza di compositori come Steve Burke, Grant Kirkhope e David Wise. Peccato per il “doppiaggio” che sebbene contraddistingua da sempre la serie, ho sempre trovato insopportabile.

 

 

 

 

Il commento di Lorenzo Agonigi

Le intenzioni di Playtonic con Yooka-Laylee erano certamente nobili: fornire ai giocatori più "datati" la possibilità di riassaporare il gusto dei platform delle origini. Ma purtroppo rimodernare la grafica e sostituire un orso e un uccello con un camaleonte e un pipistrello non basta: Yooka-Laylee si ispira ai grandi classici senza mai superarne, o quanto meno raggiungerne, le vette artistiche. Una delusione, non tanto oggettivamente per i difetti tecnici, che sono da tenere in conto visto anche il budget e l'ampiezza del piccolo team che lo ha realizzato, quanto personalmente per la fiducia e l'attesa in esso riposti. Paradossalmente è stata proprio l'esperienza con i titoli che hanno ispirato Yooka-Laylee, quali Banjo-Kazooie, Donkey Kong 64 o SuperMario 64 a farmi cambiare drasticamente opinione sul titolo ora dopo ora di gameplay. La consapevolezza di essere cresciuti, la nostalgia costante dei tempi passati, quando il tempo da passare a girovagare a vuoto negli scenari non era tempo perso, quando ripetere 100 volte lo stesso salto non era frustrante, sono compagne costanti e opprimenti. Quindi chissà, forse saranno proprio le nuove generazioni, stanche del solito titolo Disney, a dare una possibilità a Yooka-Laylee e, forse, saranno proprio loro a poterselo godere appieno. Io, purtroppo, non ci sono riuscito.

7
GAMEPLAY
Un platform troppo legnoso per gli standard odierni, quasi incompleto. Gestione della telecamera totalmente da rivedere.
6
COINVOLGIMENTO
Ottenere i collezionabili è divertente durante le prime ore ma diventa più pesante e noioso man mano che si va avanti
8
LONGEVITÀ
Meno di 15 ore per raggiungere il boss finale ma per ottenere ogni collezionabile...
7
GRAFICA
In generale piacevole e colorata. Non mancano però difetti tipici delle produzioni indipendenti.
7
SONORO
Ottima la colonna sonora, davvero insopportabile il "doppiaggio"
0.3
MALUS
La gestione della "questione JonTron" pre-release è stata decisamente poco elegante
7 MEDIA - 0.3 MALUS = 6.7 TOTALE
  1. La volontà e il coraggio di Playtonic sono encomiabili
  2. La libertà concessa al giocatore è una buona novità per il genere...
  3. Buona varietà dei livelli...
  1. La telecamera è il nemico più pericoloso (anche più pericoloso dei boss)
  2. ...ma alla lunga risulta spiazzante e frustrante
  3. ...ma la loro realizzazione e ispirazione è molto altalenante

Lascia un commento