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INSIDE (PS4) - Recensione

Inside è il secondo titolo realizzato dal piccolo studio danese Playdead, e segue grosso modo la stessa formula della precedente opera degli sviluppatori, Limbo. Ma qual è il risultato finale? Cerchiamo di capirlo.

Preciso che, come da tradizione, tutte le immagini che vedrete nel corso della recensione sono state catturate da me personalmente, giocando la versione PS4 di Inside. Ci tengo comunque a precisare che, vista dal vivo, la grafica del gioco appare molto più definita e pulita di così; non ho capito se la colpa della perdita di qualità negli screenshot è da imputare ad una compressione operata dalla PS4 o piuttosto ad un algoritmo di rendering del gioco che rende male se fermato ad un singolo fotogramma, ma tenete a mente che nel titolo vero visto su un monitor non c’è traccia di schiacciamento dei neri o della gamma cromatica, non c’è quello che dalle immagini potrebbe forse sembrare un filtro in stile pellicola cinematografica, e tutto quanto appare perfettamente pulito, limpido e distinto con una precisione al pixel.

 

 

Ancora nel Limbo

Questa recensione avrà due varianti: una per chi ha giocato a Limbo, e una per chi non ci ha giocato. La prima delle due si esaurisce in un semplice paragrafo.

Inside è concettualmente identico a Limbo, ma migliore sotto ogni punto di vista: i controlli, la grafica, la varietà degli ambienti e dei puzzle, la cura per i dettagli, la fisica, la profondità del mondo di ambientazione, tutto quanto. Se avete quindi giocato e apprezzato il primo titolo di Playdead, penso che potrete solo apprezzare ancora di più questo. Grazie e arrivederci.

 

Per tutti voi che invece siete ancora qui, non avendo la minima idea di cosa sto parlando, cominciamo dai fondamentali. Inside è un misto Puzzle-(poco)Platform in 2.5D dove il giocatore controlla un ragazzo incapace di attaccare o difendersi in qualunque modo, e che deve proseguire lungo vari ambienti risolvendo enigmi dalla struttura e complessità variabile ed occasionalmente evitando di farsi scoprire o raggiungere da vari nemici.

Lo schema di controlli è estremamente semplice: ci si muove con l’analogico sinistro, si salta con e si interagisce con l’ambiente premendo/tenendo premuto o . In generale la difficoltà di quasi tutti gli enigmi risiede più nel capire cosa bisogna fare che nella difficoltà manuale dell’eseguire l’azione, anche se in diverse circostanze un minimo di tempismo o di rapidità sono comunque richiesti. Anche se il livello di difficoltà non è tale da richiedere di consultare una guida, in alcuni momenti è necessario fermarsi un attimo a ragionare sulle opzioni a disposizione.

La trama è incredibilmente vaga e priva di ogni forma di narrazione scritta o parlata; sempre in perfetto stile Limbo, dovrete trarre da voi delle conclusioni su quello che vedete. In questo caso siamo sicuramente davanti ad una sorta di mondo industriale distopico in cui vengono eseguiti esperimenti di controllo mentale e modificazione genetica su grandi masse di esseri umani. Non ci sono indizi sulla storia del ragazzo protagonista, che prima si infiltra e poi si inoltra in un enorme complesso di sperimentazione per chissà quale ragione.

 

 

Inside non è particolarmente lungo, dato che si può completare in circa 2 ore e mezza, prendendosela comoda. A fronte di un minutaggio non eccezionale, comunque, ci sono una notevole diversità e una cura per i dettagli veramente incredibile. Alcune meccaniche generali sono ovviamente riutilizzate in più scenari, ma non c’è nessun enigma veramente “ripetuto”, e ogni volta che potreste pensare che il gioco abbia ormai mostrato tutto il proprio campionario verrete sorpresi da qualcosa di inedito.

Un mondo di grigi e neri

La cura per i dettagli di cui ho parlato non si limita solo alle meccaniche di gameplay: la resa visiva e tecnica di Inside è semplicemente strabiliante per un titolo indie.

Le animazioni, con un misto dinamico di movimenti predefiniti e ragdoll, sono sicuramente il fiore all’occhiello del reparto visivo e competono con quello che normalmente si vede uscire da uno studio AAA; ma ogni singolo ambiente ha palesemente goduto di ore e ore di cura, con decine di minuscoli dettagli e piccoli eventi completamente superflui dal punto di vista del gameplay, ma inestimabili per costruire l’atmosfera di gioco.

Anche la grafica in quanto tale è impeccabile, con colori, luci ed effetti pulitissimi, perfettamente adattati al tono cupo e grigiastro del mondo. La sorpresa maggiore, almeno per quanto riguarda la versione PS4, deriva comunque dall’esecuzione, che è virtualmente impeccabile nonostante l’uso della Unity Engine, che di solito produce risultati discutibili quando portata su console.

 

Per finire, l’audio di Inside (ancora una volta in linea con Limbo) è poco appariscente e limitato in gran parte ai soli effetti sonori del mondo, con l’utilizzo mirato di poche musiche solo in alcuni momenti chiave. Anche svolgendo un ruolo secondario e di supporto, comunque, la qualità intrinseca rimane alta, e il suo contributo subliminale all’atmosfera non va sottovalutato.

 

 

Diamoci dentro

Inside è un gioco strutturalmente semplice, ma capace di mostrare infinite sfaccettature intelligenti e nessun vero difetto; non so onestamente cos’altro potrei aggiungere, dato che questo è più che mai un gioco che va giocato, e non spiegato.

Il prezzo di 20€ potrebbe sembrare un’ostacolo a fronte della durata (come ho già detto, circa tra le 2 e le 2 ore e mezza) e della rigiocabilità ridotta (non ci sono deviazioni, scelte o finali alternativi possibili, e gli enigmi ovviamente funzionano meglio quando ancora non se ne conosce la soluzione), anche se ovviamente ciascuno darà al tempo e alla qualità il valore che preferisce.

 

Anche se non si è dei fan sfegatati di questo modello di titoli – come non lo sono io – è oggettivamente difficile trovare anche una sola ragione per scartare Inside. Il mio modesto consiglio quindi è, anche qualora non vogliate pagarlo a prezzo pieno, di recuperarlo appena lo troverete a condizioni più vantaggiose.