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Thief (PS4) – Recensione

DISCLAIMER: QUESTO GIOCO NON È DISHONORED, E NON VA LETTO COME SE LO FOSSE O DOVESSE ESSERLO.

Spero che sia sufficiente a chiarirlo bene fin da subito.

 

Solo un’altra precisazione prima di iniziare: tutte le immagini che vedrete in questa recensione non sono materiale promozionale diffuso da Square Enix, ma fotogrammi che ho catturato io stesso grazie alla funzione Share di PS4.

Questo significa sia che l’aspetto reale del gioco è indiscutibilmente questo sia che, visto che la conversione per Twitter fa schifo, il passaggio dalla PS4 al PC non è stato indolore, e molte immagini sono venute molto più buie di quanto apparissero sul mio TV. Mi sono trovato davanti all’alternativa se usare solo i fotogrammi più chiari o se cercare di ri-bilanciare a mano la luminosità in modo che il risultato tornasse ben visibile e il più simile possibile a quello del gioco reale. Alla fine ho deciso che dato che le immagini che avevo sul PC erano già state alterate, anche se non per colpa mia, conveniva cercare di ridurre i danni; ergo, tutti gli screenshot dell’articolo sono stati presi dalla mia PS4, ma li ho anche schiariti a mano dal PC per cercare di farli tornare il più simili possibile agli originali. È importante che lo sappiate, perché per quanto impegno ci abbia messo e per quanta manualità possa avere in queste cose identici non saranno mai, e le immagini con sia forti luci che forti ombre hanno perso un po’ di definizione delle parti scure.

 

Attraverso gli occhi del ladro

 

Thief è qualcosa di molto raro nel panorama videoludico odierno: uno stealth vero e completo. Significa che lo scopo primario (se non unico) è riuscire a fare tutto quello che bisogna fare senza farsi scoprire, o come minimo a correre molto in fretta se si viene scoperti.

 

Ma “Thief” è un nome che si porta anche dietro una discreta eredità. Ed è per questo che nel prendere tra le mani un reboot omonimo arrivato sedici anni dopo l’originale e dieci dopo l’ultimo capitolo mi sono chiesto cosa avrei dovuto cercarci esattamente. Ebbene, non ho paura di ammettere che sotto questo punto di vista Thief mi ha decisamente preso in contropiede, perché non ho avuto bisogno di “cercare” un bel niente per trovare un chiaro senso a quello che facevo.

La domanda quindi diventa: “quel qualcosa che ho trovato in Thief è lo stesso qualcosa che c’era nei vecchi capitoli?”. E la risposta è… sì e no, nel bene come nel male.

Confido che, se conoscete gli originali, una volta finito di leggere questa pagina avrete capito anche il perché. In caso contrario fatemelo sapere, perché significa che non sono capace di fare il mio lavoro.

 

Sfuggente come le ombre

Garrett, il protagonista, è discretamente silenzioso nei movimenti ed è quasi invisibile se rimane nel buio. Camminare da chinati produce meno rumore che da in piedi, e anche muoversi più lentamente aiuta. A questo vanno aggiunte le sue doti atletiche, che si traducono nella capacità di eseguire un rapido scatto a testa bassa che copre in fretta e in silenzio una distanza di un paio di metri (tasto  su PS4) e nelle capacità di arrampicata. Garrett può anche “sbirciare” (tasto  su PS4), ovvero appoggiarsi ad un oggetto o un muro che fa angolo e guardare cosa c’è oltre nella sicurezza di non essere visibile. Se cercate un approccio completamente furtivo, vi ritroverete a scattare e sporgervi parecchio.

 

 

Il tasto “azione” () è un po’ l’asso pigliatutto, con cui si interagisce con il grosso degli oggetti e degli elementi. Lo si usa – a volte premendolo e a volte tenendolo premuto – per raccogliere oggetti e refurtiva, aprire e chiudere porte, cassetti e simili, borseggiare qualcuno, iniziare uno scassinamento, guardare dal buco di una serratura, spegnere una candela e cambiare di zona.

 

Se  controlla le azioni,  gestisce i movimenti. Thief propone un sistema di interazioni con l’ambiente particolare, che non permette al giocatore di saltare liberamente e relega saltarare, scalare e correre tutti a quell’unico tasto. Tenendolo premuto si corre, mentre con un rapido tocco, anche senza muovere la levetta sinistra, Garrett esegue l’azione interattiva che ha davanti. È vero che in certi punti serve comunque saltare al termine di una corsa, e lì nel caso non si sia sicuri di potercela fare si rischia, ma per il resto è tutto gestito dal gioco, che quindi se si danno i comandi con calma e per bene riduce quasi a zero la possibilità di sbagliare un salto.

Qualcuno dirà che preferiva le cose alla vecchia maniera, qualcuno che le preferisce così, ma il dato oggettivo è che questo sistema funziona alla perfezione, non ha lacune di sorta e di sicuro non “limita” il giocatore in modo stupido. Ovviamente gli ambienti e come sono stati costruiti aiutano a raggiungere questo risultato, ma credetemi, non ci si trova praticamente mai in situazioni in cui si pensa “se potessi saltare liberamente sarebbe tutto più facile”.

 

In termini di dinamiche di movimento ci sono alcuni momenti particolari, usati soprattutto per mascherare cambi di mappa o di area. Capita che Garrett debba passare da una finestra o da una strettoia con dei detriti, e in entrambi i casi è richiesto al giocatore un breve “quick time” (non so veramente se andrebbe chiamato così) in cui bisogna premere rapidamente  a simulazione dello sforzo per svellere o sollevare l’ostacolo. Durante le missioni si può anche incappare in brevi sessioni di scalata in terza persona un po’ in stile Assassin’s Creed, ma assolutamente lineari. Tutti questi momenti passano senza lode e senza infamia e non hanno virtualmente nessun effetto sul gioco, ma almeno vi dico che esistono.

 

 

Per fare il proprio lavoro Garrett ha a disposizione un discreto numero di strumenti.

Il primo e più importante è il suo arco, equipaggiabile con frecce volte a tutta una molteplicità di scopi; un paio sono puramente offensive e pensate per uccidere, alcune per interagire con l’ambiente in modi precisi, ad esempio spegnendo un fuoco, accendendone uno o piazzando una corda in alcuni punti predefiniti, altre con altre funzioni ancora. In aggiunta alle frecce si hanno delle bombe accecanti per coprirsi la fuga, dei kit per ripristinare salute e Focus (a cui arrivo dopo) ed è anche possibile portare con sé una bottiglia o simile raccolta dall’ambiente da tirare per distrarre l’attenzione.

Questo per quanto riguarda l’equipaggiamento cosiddetto “consumabile”; non dimentichiamoci però che si hanno anche sempre a disposizione due grimaldelli per forzare i lucchetti e un manganello per storidire da dietro i nemici o, come extrema ratio, affrontarli in combattimento a viso aperto. A questi vanno aggiunti i potenziamenti, che da una parte migliorano statistiche e numero di oggetti consumabili trasportabili e dall’altra permettono nuovi tipi di azioni, ovvero disarmare trappole, sbullonare grate e rubare tele di quadri.

 

Occasionalmente si ha modo di scoprire dei segreti per disattivare una trappola o aprire un passaggio segreto, in modo da riuscire a proseguire, fare bottino extra o anche solo evitare maggiori seccature lungo un altro percorso. Ci possono essere pulsanti nascosti un po’ in tutti i tipi di superfici, librerie che celano passaggi segreti e quadri con interruttori nei bordi delle cornici.

Sono tutti enigmi molto basilari, il vero trucco sta nel riuscire a capire quando potrebbe essercene uno, perché a meno che non attiviate il Focus (prossimo argomento in scaletta) nulla distingue normali librerie e quadri da quelli interagibili, e i bottoni sui muri sono veramente mimetizzati.

Non siete però lasciati coi soli vostri occhi per cavarvela. Thief integra un’interfaccia a molti livelli, tutti attivabili o disattivabili singolarmente in qualunque momento (indicatore a video che segnala l’obiettivo e la sua distanza, elementi scalabili e colpibili dell’ambiente evidenziati, icona di allarme per le guardie…). Ad essere disattivabile è anche l’HUD vero e proprio; mi sono onestamente stupido nel constatare che Thief è completamente e perfettamente giocabile senza gemma della luce (l’indicatore di quanto Garrett è illuminato), e mi sono anche reso conto che certe azioni normalmente guidate, ad esempio scassinare una serratura, sono perfettamente fattibili senza aiuti di nessun tipo.

 

 

Il motivo è che il gioco nasconde, con molta intelligenza e discrezione, una sorta di “seconda interfaccia” integrata nel gioco stesso: quando si è al buio i contorni dello schermo si coprono di una sottile nebbia nera, e – per riprendere l’esempio di prima – mentre si sta scassinando si può notare che Garrett si rigira tra le dita il grimaldello della mano destra quando è posizionato all’altezza giusta per aprire un blocco della serratura. I punti in cui si può tirare una freccia con corda sono graficamente standardizzati, così come sono spesso presenti striature bianche simili a graffi o colate di vernice su alcuni oggetti e muri scalabili che potrebbero confondersi di più con l’ambiente.

 

Anche la difficoltà vera e propria è più regolabile del normale. Ci sono tre difficoltà di fondo, che definiscono quanto è attenta l’IA e quanto costano e in generale si trovano oggetti consumabili e potenziamenti. Cambiare la difficoltà non “cambia” veramente il gioco, nel senso che non aggiunge trappole o nasconde meglio enigmi, ma dato che il grosso delle complicazioni durante un colpo derivano dagli incontri con gli NPC anche solo renderli più svegli fa molta differenza.

Si può anche optare per una difficoltà personalizzata, che a una delle tre base aggiunge tutta una serie di voci attivabili singolarmente che pongono altre limitazioni al giocatore. Dato che non vorrei trasformare questa recensione in una guida, nel caso voleste chiarirvi meglio le idee potete fare riferimento alla prima metà di questo articolo.

 

Completamente scollegato da tutto questo è il Focus. Il Focus è un potere che Garrett può attivare e disattivare a comando in qualunque momento (su PS4 con e che gli permette di osservare il mondo circostante mettendo inequivocabilmente in evidenza gli oggetti interagibili, i nemici e le trappole. Fintanto che il Focus è attivo consuma un’apposita barra blu, che si può ricaricare solo utilizzando le proprie scorte dei Papaveri.

 

 

Il Focus è quindi pensato in primo luogo come “salvacondotto” qualora non si riesca a capire come fare qualcosa ad occhio nudo, ma se potenziato spendendo soldi offre anche altri vantaggi, ad esempio facilita scassinamenti e i borseggi, dona una maggiore velocità di spostamento, percezione dei nemici e così via.

È senza dubbio possibile finire il gioco senza usare mai il Focus, ma allo stesso tempo rinunciare del tutto alla sua funzione base di segnalazione dei punti di interesse e allo stesso tempo disattivare gli aiuti dell’interfaccia lascia alle volte in situazioni veramente criptiche. A qualcuno potrebbe piacere, e il Focus è infatti disattivabile in toto esattamente come il resto, ma dato che dovete farlo dalle opzioni della difficoltà, che poi non potrete più toccare per il resto della partita, suggerisco caldamente a chi è in dubbio di tenerselo per le emergenze.

 

Invisibile?

Una premessa da fare: il sistema di salvataggi è fantastico. Ci tengo a dirlo ora perché chi ha giocato ai vecchi Thief sa perfettamente quanto sia importante, quando un solo errore può mandare a monte tutto, poter mettere un punto fermo dopo ogni più piccolo progresso.

Il gioco salva automaticamente ad ogni inizio di missione o conseguimento di obiettivo, più ogni volta che ci si nasconde in un armadio (ah, già, si può fare anche quello), ma si può anche salvare a mano ogni volta che si vuole, a patto di non avere nessuno sulle proprie tracce. Per “sicurezza”, anche quando si continua nominalmente a sovrascrivere lo stesso slot si possono caricare fino a due salvataggi precedenti l’ultimo.

Ma, cosa ancora più importante di tutto questo, caricare un salvataggio a metà missione rimette davvero tutto nell’esatta posizione in cui lo si era lasciato.

 

 

Essere silenziosi e passare inosservati in Thief non è troppo difficile… il grosso delle volte. Le luci sono gestite tutte in tempo reale; il gioco controlla veramente se il corpo di Garrett è oscurato. Questo porta a piccoli fenomeni spontanei curiosi e apprezzabili, come la possibilità di celarsi nell’ombra proiettata da qualcuno e quella di venire rivelati da un lampo durante un temporale. L’IA è all’altezza della situazione, ed è parecchio attenta a quel che fate, ma non per questo è perfetta.

Ci sono diverse gradazioni di allerta a rappresentare le fasi intermedie con cui una vera persona di guardia da qualche parte reagirebbe a vari avvenimenti. In base a quanto lo stimolo visivo è forte una guardia vi noterà se le restate davanti con tempi diversi. In altri termini, più è nitida la visione di qualcosa che non va – primo su tutti, voi – più in fretta si riempirà una barra di allerta, che farà nell’ordine notare che anche solo c’è qualcosa, attirare sempre di più l’attenzione, far decidere che è il caso di approfondire e infine tirare fuori la spada; nel caso di minaccia palese la barra si riempie all’istante. Qualcosa di molto simile vale anche per i suoni. In aggiunta a questo la linea di vista è reale, non solo nel senso che conta dove siete rispetto alla guardia, ma che ogni personaggio vede davvero nella direzione in cui ha la testa voltata in quel momento.

Cambiare difficoltà non modifica di molto l’IA base, ma rende veramente più difficile il gioco. Man mano che la si alza sia cresce la distanza del campo visivo/uditivo sia la velocità con cui l’indicatore di allarme si riempie. Ho notato che alla terza difficoltà – l’ultima – l’IA prende più iniziative, scandagliando gli ambienti alla vostra ricerca anche prima di avere l’assoluta certezza che ci siate (cioè, scatta la perlustrazione ad un livello di allarme più basso). Per capirci, alla seconda difficoltà se spegnete una candela, la luce di una stanza o un fuoco e l’IA se ne accorge rimane perplessa per alcuni secondi, poi la riaccende e torna alle proprie faccende; alla terza, pur non raggiungendo un livello di allarme tale da convincerla che qualcuno lì vicino c’è, si metterà a cercare nella zona circostante, e lo stesso per quando producete un rumore tirando un oggetto o una freccia.

 

 

È interessante come in certe circostanze più personaggi controllati dall’IA si rapportino tra loro. Se una guardia è abbastanza vicina da vedere o sentire qualcosa che la metta in uno stato di allarme serio estrarrà la spada o farà qualche altro rumore, e le altre guardie nelle vicinanze si metteranno in allerta a loro volta. A questo va aggiunto un sistema di frasi circostanziali riguardanti l’allerta abbastanza credibile, ad esempio con veloci botta e risposta tra guardie (o anche guardie e altri personaggi) alla supposta presenza di una minaccia.

Con l’IA si riesce a “giocare”, una volta che si capiscono le regole. Le frecce spuntate sono particolarmente utili per attirare l’attenzione, e spararne una a un paio di metri da qualcuno può fargli voltare la testa abbastanza a lungo da permettervi di passare dall’altro lato senza farvi vedere. L’IA è comunque un po’ imprevedibile, e “direzionarla” dove si vorrebbe non è sempre così facile, soprattutto alla terza difficoltà.

 

Il limite più grosso dei nemici è la percezione ambientale. Benché le guardie si rendano conto di ciò che avviene davanti ai loro occhi sembrano non notare quasi per niente modificazioni nell’ambiente anche rispetto a pochi secondi prima; anche qui la difficoltà cambia delle cose, ma non le fa mai diventare perfette. Alla terza difficoltà un soldato noterà un cassetto o un mobile lasciato aperto, ma ad esempio non l’assenza del contenuto di una vetrina razziata e poi richiusa, anche se si ferma a fissarla.

Se spegnete una luce che investe un personaggio questo se ne accorgerà, ma spesso se lo fate con una semplicemente lungo il suo giro di ronda non si ricorderà che prima era accesa, né tantomeno la riaccenderà, anche se il tutto avviene a pochissimi metri da lui. In generale, il problema è che le guardie non hanno solo una pessima percezione di tutto quello che succede al buio, ma fanno anche fatica a rendersi conto di quando una zona di luce diventa buia, a meno che non lo vedano accadere sotto il loro naso.

 

Fortunatamente questi problemi non intaccano le fondamenta del gioco in nessun modo, al massimo logorano un po’ la difficoltà e il senso di realismo. È vero che l’IA ha dei limiti e in certe situazioni li dimostra, ma se cercate una sfida, all’ultima difficoltà la troverete comunque, non preoccupatevi.

 

 

Thief non è un gioco che mette in piedi mappe particolarmente interattive, ma qualcosa anche di quello c’è. A parte gli enigmi, a parte accendere e spegnere fuochi, a parte lo sporgersi e l’arrampicarsi, in giro ci sono elementi interagibili, alcuni più “scriptati” di altri. Colpendo con una freccia alcune carrucole farete cadere un oggetto pesante o scendere scale/ponti; molto più banalmente urtare un vaso camminando lo farà cadere e produrrà rumore (piccola curiosità: la situazione rappresentata subito qui sopra è iniziata a causa di una bottiglia che ho calciato inavvertitamente). È molto carino che si possano spegnere o accendere gli interruttori della luce anche tirandoci contro delle frecce.

Ogni tanto ci sono uccellini o cani in gabbia, che con modalità diverse possono “attivarsi” e mettere in guardia i nemici vicini. I cani percepiscono sempre Garrett quando è a pochi metri dalla gabbia, indipendentemente da illuminazione e rumore, e se ci si resta troppo a lungo si mettono ad abbiare allertando le guardie vicine; gli uccellini al contrario sono sensibili solo ai movimenti molto veloci, quindi di fatto sono degli “allarmi anti-scatto” (e “anti-camminata da in piedi” alla terza difficoltà). Per inciso, gli animali si possono neutralizzare senza dare nell’occhio con le frecce al gas narcotizzante.

 

Non aspettatevi un mondo tanto modificabile o sfruttabile; per passare in punti anche parecchio spinosi spesso potete fare affidamento solo sulle vostre risorse. Non è un male, anzi, probabilmente è un bene, perché quando l’ambiente è troppo scriptato le cose si fanno spesso troppo facili. Thief sceglie una strada di level design un po’ più difficile e che lascia più libertà, e devo dire che il risultato nel complesso è più che soddisfacente.

 

Gioco di mano…

Come ho detto prima, il silenzio totale e le distrazioni ambientali non sono gli unici due approcci possibili. Il manganello di Garrett permette di stordire sempre sul colpo un nemico se lo si prende da dietro o da sopra, e nel caso di guardie isolate può essere una buona tattica per sbrigarsela in fretta. Naturalmente si possono trascinare i corpi per nasconderli; stupirebbe il contrario.

 

 

Le frecce sono più comode da impiegare, ma si esauriscono, costano e sono meno silenziose (per inciso, l’arco e gli altri oggetti lanciabili si attivano tutti con ). Con una normale freccia offensiva si può facilmente uccidere in un colpo se si mira alla testa, ma colpire il corpo ha effetti non letali, e decisamente più rumorosi. Il gioco offre poi alternative meno ovvie, come dare fuoco a chiazze d’olio sul pavimento, far crollare qualcosa addosso a qualcuno o tirare direttamente un dardo esplosivo sui bersagli.

Nel caso si venga scoperti da più di una guardia l’opzione migliore è sempre la fuga, magari in verticale, ma contro avversari singoli ha senso anche provare a combattere. Garrett non può parare, ma può schivare cercando di sfuggire alla direzione da cui arriva il colpo; lo si fa a mano, su PS4 con  e l’analogico sinistro. E può ovviamente anche colpire a sua volta (), nella speranza che l’avversario non pari il fendente. Dopo aver mandato a segno abbastanza colpi il nemico rimarrà stordito, al che sarà possibile caricare una mossa finale per metterlo fuori gioco definitivamente.

 

Thief non nega a priori l’approccio violento, anzi, lo integra e per certi versi lo favorisce, nel senso che esistono equipaggiamenti pensati solo per quello (sappiate che per “approccio violento” intendo “prendere di sorpresa il nemico”, non “carica frontale”; quella è decisamente sconsigliata).

Il grosso dei potenziamenti e degli equipaggiamenti non ha neanche senso cercando di non colpire mai nessuno; e questo produce una situazione interessante, perché giocando stealth si hanno già da subito quasi tutti gli “strumenti” esistenti, mentre volendo spianarsi la strada si dovranno spendere molte più monete. Karma?

 

Il bersaglio, capo?

 

Thief è decisamente lungo e ricco di contenuti. A fronte di un numero di missioni principali apparentemente ridotto – otto – c’è veramente tanto da rubare e da vedere, sia sotto forma di incarichi vari sia di semplice bottino sparso in giro, più o meno nascosto e protetto.

 

In primo luogo, le missioni principali stesse sono tutte davvero ben fatte. Alcune sono più ispirate di altre, ma sono tutte lunghe, variegate e con un proprio senso chiaro e tono unico. Le missioni principali sono rigiocabili quante volte si vuole, e ogni volta viene assegnato un giudizio sullo stile tenuto e un bilancio di quanti degli oggetti totali sono stati trovati, più ci sono anche alcune sfide extra (“spegni tot fuochi”, “stordisci tot guardie”, “non farti scoprire”…) per chi vuole cimentarcisi. Ah, e se volevate la canonica missione horror siete stati decisamente accontentati.

C’è un secondo “livello” di missioni, chiamate “contratti dei clienti”, che consiste in un totale di sei furti su commissione. Anche essi, come le missioni principali, sono ambientati in mappe inedite e godono di un minimo di costruzione particolare, sia per farle sembrare più vive sia per renderle più movimentate; aggiungono longevità raccontando storie parallele e a modo loro interessanti o almeno divertenti.

Ad un livello ancora inferiore ci sono i “contratti di Basso”, delle micro-missioni che hanno luogo in abitazioni inserite direttamente nell’hub centrale di gioco. È bello notare come anche in esse sia stata messa una certa cura, perché per quanto semplici o veloci possano essere non sono mai davvero ripetitive e assolutamente mai copiate e incollate le une con le altre.

 

 

Questo per quanto riguarda le missioni, ma non è tutto. Il gioco contiene una quantità notevole di oggetti unici, sparsi un po’ nel corso delle missioni stesse e un po’ nella zona centrale: spille, anelli e simili possono essere dappertutto, da sotto un vaso appoggiato nell’angolo di un corridoio a dentro un baule nascosto in una cantina e difeso da trappole; ci sono anche particolari tele, da notare in mezzo a tutte le altre che si incontrano e da tagliare, e targhette metalliche da sbullonare e portarsi via.

Uno dei pregi maggiori della zona centrale, la parte di gioco in generale più discutibile e che intendo affrontare fra poco, è quello di contenere veramente tanti oggetti, alcuni nascosti anche molto bene… più un altro paio di strani segreti, più misteriosi e impegnativi. Per i fan: ci sono anche parecchi easter egg, che sono però mascherati tanto bene che chi non conosce i vecchi giochi non si accorgerà che c’è più di quanto si veda o senta. Almeno uno viene brutalmente tirato in faccia al giocatore, ma da quello che leggo in giro su internet nessuno o quasi se n’è reso conto.

 

Architettura vittoriana

Il vero punto di uno stealth, per inciso, non è non farsi vedere o sentire e basta, ma andare dove bisogna andare senza farsi vedere e sentire. Sembra una precisazione ovvia, ma non lo è, perché cela la vera chiave per il successo: il level design. E la prima cosa che un appassionato del genere può facilmente notare è che Thief gode di un ottimo level design, che rende missioni di ogni tipo, da quelle semi-aperte a quelle più lineari, sempre godibili e impegnative.

Capita che ci siano più strade possibili, dipendenti anche dagli strumenti che si hanno a disposizione, e molte delle “zone aperte” delle missioni possono essere attraversate in fretta o esplorate a fondo. Non immaginatevi ambienti enormi, ma siete autorizzati ad immaginarvi parecchi ambienti tutti diversi e ben caratterizzati.

Per la zona centrale il discorso si fa un po’ più complesso, e credo che meriti una riflessione ulteriore.

 

 

La situazione è questa. Il gioco ha un hub liberamente esplorabile suddiviso in più mappe e di cui si sbloccano nuove parti man mano che si completano le missioni principali. Lo si usa per accede a venditori, personaggi e missioni, ma c’è anche una miriade di segreti e oggetti da rubare, sia unici che comuni. Non è assolutamente fatto male, è bello da vedere e contiene veramente tante cose per chi vuole cercare, solo che… è strutturalmente lineare, non esistono quasi percorsi alternativi e lo si deve attraversare davvero tante di quelle volte che alla lunga stanca.

Le pattuglie di ronda non cambiano mai posizione e percorsi di una virgola, in certi punti si sente sempre lo stesso scambio di battute, a volte persino a ripetizione (ma quello credo sia un bug, perché capita di rado), e soprattutto capire come arrivare in certi posti può essere tendente all’impossibile. La mappa che il gioco fornisce non rende giustizia alla complessità vera dell’ambiente, e non è quasi mai chiaro da dove si dovrebbe passare per andare da qualche parte. Il che ci può stare per i segreti, ma diventa davvero un po’ troppo quando per riuscire a cambiare di zona mi trovo costretto ad accendere il Focus, sperando che basti – perché a volte non basta. In un paio di ambienti collegati ai contratti dei clienti non ho tuttora capito come arrivarci, anche cercando parecchio a più riprese.

 

È come se la zona centrale seguisse un concept vecchio cercando di incastrarci a forza elementi da gioco moderno; l’idea forse sembrava buona, ma il risultato è che i difetti di entrambi i modelli si oscurano a vicenda i pregi. Le prime volte è ostica da capire e quelle successive necessita della memorizzazione per essere gestita a dovere, ma allo stesso tempo non fa assolutamente nulla per apparire davvero viva nel (lungo) corso della partita, se escludiamo piccole modifiche estetiche che seguono l’avanzamento della storia e che comunque hanno zero effetti sul gameplay.

Non è che nella zona centrale ci sono dei segreti, è letteralmente fatta di soli segreti, e visivamente è anche l’ambiente meno chiaro di tutti. Probabilmente per molti sarà la parte più dura da reggere del gioco, e il fatto che la si debba attraversare così tanto non credo aiuti.

 

Ladro di storie

 

Se chiedete ad un fan della vecchia serie di Thief “qual è lo scopo del gioco?”, la risposta che riceverete sarà bene o male “infiltrarsi in vari posti per rubare senza essere scoperti”.

Ora, non voglio mettermi a forzare dei confronti che esulano da quello che so facendo ora, ma il nuovo Thief porta questa risposta ad un nuovo livello.

 

La storia è difficile da descrivere senza fare spoiler, quindi mi limito al minimo. Tutto inizia una notte in cui Garrett viene incaricato di effettuare un furto nella villa del Barone; qualcosa va storto, lui e un’altra ladra sua ex-collaboratrice hanno un incidente, e… Garrett si risveglia, un anno dopo, in una Città (“la Città” è il nome vero e proprio della città di gioco) devastata da una strana pestilenza e sull’orlo di una rivolta sociale spronata dalla setta religiosa degli Eletti. Non mancheranno i colpi di scena.

Più persone hanno detto che la trama è “stupida” o semplicemente “brutta”; secondo me non è nessuna delle due, al massimo va un po’ di corsa verso la fine, ma è una di quelle storie che lette fanno sempre un’impressione molto peggiore che viste e giocate. La trama sulla carta è ok, ma è il modo in cui viene narrata, con tutti gli espedienti annessi, a farla salire di livello.

 

Ciò detto, è il contorno a dare al gioco un tocco speciale in termini di coinvolgimento. Per quanto la storia si ponga in modo preponderante nel ritmo narrativo c’è davvero tanto, tanto altro da vedere e sentire. E badate bene che non sto parlando di gameplay o longevità.

 

 

Il Garrett di Thief è uno degli antieroi meglio caratterizzati che ricordi, un personaggio a proprio agio nella metà sporca, in ombra del mondo, il cui scopo dichiarato nella vita è sfruttare ciò che della società non funziona per mettersi alla prova a svantaggio degli altri… senza cadere in eccessi immotivati, cioè (da background) non lasciandosi dei morti alle spalle quando non è strettamente necessario per uscirne vivi. Il Garrett di Thief è sempre lo stesso dei vecchi capitoli, solo coinvolto in una vicenda più personale.

 

Il fulcro di Thief poi è veramente il furto. Non solo nel senso che lo scopo nominale è rubare, ma che tutto, dal modo in cui sono scritti personaggi e storia ai contesti agli obiettivi veri e propri fa entrare il giocatore nell’ottica in cui si è prima di tutto dei ladri; o, almeno, per me è stato così. Mi sono trovato spesso a chiedermi se valeva la pena di rischiare per prendere anche quel calice nell’altra stanza piuttosto che semplicemente dirmi “chissenefrega, la freccina dell’obiettivo indica il piano di sopra” (anche perché avevo disattivato la freccina dell’obiettivo dall’interfaccia, ma questa è un’altra storia).

Mi ha anche colpito molto il modo in cui si è cercato di dare un contesto e una storia fino alla più piccola missione. Nessun incarico è solo “Garrett, entra in quella casa anonima e ruba quella cosa che è appoggiata da qualche parte”, e non parlo solo in termini di briefing. Se mi aspettavo che le missioni maggiori montassero parecchi dialoghi e momenti scriptati unici (cosa che infatti succede) non credevo avrei trovato tanta cura nei singoli svaligiamenti, e mi immaginavo che, come si suol dire, lì sarebbe cascato l’asino. Felice di sbagliarmi.

 

 

Le missioni “terziarie” non danno solo la sensazione di essere uniche, per quanto corte. È fantastico come a volte un paio di stanze arredate a dovere e una o due lettere sparse in giro riescano a raccontare la vita di una persona. Una volta mi è stato chiesto di entrare in un appartamento per rubare uno specchio a mano; dentro ho scoperto la storia di una figlia costretta dal padre a fare la corte a uomini di potere per permettergli di arricchirsi, ma che ha deciso di ribellarsi e di fuggire con gli oggetti di valore in cassaforte il giorno seguente. Peccato sia arrivato prima io.

 

La Città non è un micro-universo che mette insieme svariati stili e ambientazioni, è un mondo relativamente compatto e caratterizzato da elementi ricorrenti; ma non per questo non trova il tempo di mostrare della varietà. Una piazza presidiata dall’Arma e ben illuminata da alcuni pali della luce ha un tono diverso da un vicolo pattugliato dai membri di una banda di fuorilegge e uno diverso ancora da una piazza decorata da statue antiche avvolte dalla nebbia; ma si capisce che tutti e tre, benché diversi, appartengono alla stessa città.

La luce chiaramente gioca una componente fondamentale nell’atmosfera. Tutta l’azione si svolge di notte, illuminata ai rossi dei fuochi e ai forti e squadrati bianchi dei lampioni e delle lampade, in un contrasto che funziona curiosamente bene. Ma non bisogna sminuire anche l’importanza della nebbia, che aleggia quasi ovunque in modo più o meno evidente e che combinata con le luci produce un’immagine ancora più carica di profondità e realismo. A questi due fattori vanno aggiunte texture a volte non iper-dettagliate ma con effetti di riflessione e ombreggiatura particolarmente ben riusciti, che aiutano a loro volta alla costruzione di scenari molto coesi, realistici e spesso di grandissimo impatto.

 

 

Gli interni sono ancora più curati e variegati, e in certi casi bastano a capire il carattere di chi li abita, persone di cui si entrare nella vita benché non le incontreremo mai. C’è del riciclo di asset (per forza…) e quasi ovunque domina uno stile degli arredi a metà tra il povero e il piccolo-borghese, ma certi interni sono dei capolavori, e basta fermarsi un attimo a guardarli bene per rendersene conto.

Per tagliare corto, la Città di Thief è uno degli ambienti meglio caratterizzati dal punto di vista artistico che abbia mai avuto il piacere di esplorare in un videogioco, capace di reggere e spesso oscurare le carenze dell’engine e la semplicità strutturale della zona centrale.

 

Gli sviluppatori ci hanno anche messo dell’altro impegno ancora per far immedesimare nell’avventura. È interessante come si sia cercato in ogni modo di far apparire “materiale” il mondo di gioco e di far sentire il giocatore come un vero corpo al suo interno, non solo una telecamera che si sposta avanti, indietro, a destra e a sinistra.

Il modello di Garrett è completamente visibile dalla visuale in prima persona, così come la sua dettagliata ombra, ma non solo: diversi movimenti e azioni gli fanno impiegare le mani, molto più di quanto non si veda di solito, e di fatto ogni comando dato viene veramente eseguito col corpo dal personaggio. Ogni volta che aprite un cassetto, raccogliete qualcosa, scavalcate un parapetto, ma anche solo vi appoggiate a un muro per sporgervi o attraversate una tenda vedrete effettivamente Garrett compiere l’azione. Da sola apparirebbe come una scelta curiosa, ma si integra alla perfezione con il tema del furto e con questo mondo già provvisto di un grande spessore.

 

 

Stop taffing ya there

I primi Thief erano caratterizzati davvero tanto dal sonoro, che per cura e integrazione col gameplay all’epoca segnò un precedente assoluto. Il sonoro del nuovo Thief è lì, ma l’importanza che rivestiva nei vecchi titoli si è persa lungo la strada, e per i fan della saga questa potrebbe essere la delusione maggiore. I nuovi arrivati, al contrario, non si scandalizzeranno di certo per quel che troveranno. Attenzione, non sto dicendo che l’audio di Thief sia scadente; affatto, è molto buono. Solo che è stato spostato dall’aiutare nel gameplay al costruire atmosfera.

Per chi non lo sapesse, nei vecchi giochi le diverse superfici su cui si camminava facevano veramente la differenza tra il venire scoperti o no, e spesso era rischioso cercare di capire con assoluta chiarezza su cosa si stava passando solo a vista, quindi tenere le orecchie ben dritte in primo luogo ai rumori prodotti da se stessi era fondamentale. Nel nuovo Thief ci sono due tipi di terreni a cui stare attenti: l’acqua e i vetri rotti, entrambi ben distinguibili già ad occhio; per il resto potete tranquillamente muovervi da chinati a massima velocità, se c’è qualcosa che non volete calpestare lo vederete molto prima con gli occhio di quanto non lo sentirete con le orecchie. In Thief basta giocare con un minimo di cervello e si verrà scoperti nove volte su dieci perché visti, non sentiti.

 

Detto questo, il comparto sonoro è senza dubbio messo in piedi con criterio, e si fa sentire soprattutto nelle situazioni più concitate o vive. In… quella missione horror di cui non intendo parlare ad esempio la musica fa un lavoro dannatamente buono, toccando l’apice di tutto il gioco.

 

 

Quella del ladro è non una vita per tutti

Dare un peso ai problemi di Thief è difficile. È difficile perché mi rendo conto che al grosso di essi, proseguendo nella partita, ci avevo fatto talmente tanto il callo da non considerarli veramente neanche più problemi, solo scelte un po’ originali e magari non sempre calzantissime.

 

I primi e indiscutibili difetti sono sul versante tecnico. Non fraintendetemi, Thief non ha praticamente bug di codice e gira più che bene (almeno su PS4, l’unica versione che ho avuto occasione di provare), ma il motore grafico si scopre a diverse critiche per chi ha un occhio abituato.

Quando ci si sposta in ambienti grandi, cioè soprattutto nelle varie sezioni della zona centrale, il gioco subisce occasionali rallentamenti, evidentemente perché sta caricando qualcosa. Non è drammatico, ma si nota, esattamente come si nota un deciso pop-in delle texture appena si è aperto un nuovo livello. Mi è poi capitato di accorgermi che girando in fretta la visuale in un ambiente appena caricato per una frazione di secondo apparivano dei rettangoli biancastri al posto di alcuni asset. Sottolineo il “per una frazione di secondo”, e io ho l’occhio iper-abituato a cercare queste cose, ma è pur sempre una cosa che c’è.

Andando più sul generale, il grosso della qualità estetica deriva dall’illuminazione, quindi gli ambienti con una luce particolarmente piatta ne risentono nell’impatto visivo; questo perché le texture sono tutte ben più che accettabili, ma capita da vicino che qualcuna perda dei colpi, e se si prendono l’angolo e la luce sbagliata per guardare qualcosa il trucco viene meno, e si è davanti ad un legno quasi monocromatico e a modelli umani così così.

Insomma, l’engine ha dei bellissimi effetti e dal punto di vista del carico di lavoro la PS4 regge tutto senza problemi, ma l’esecuzione del gioco pulita non lo è di sicuro.

 

 

Passando al gameplay, i principali problemi che ho notato (escludendo le carenze dell’IA) sono tre; alcuni li ho già accennati nel corso dell’articolo, ma li ribadisco comunque.

Primo: quando si deve interagire con oggetti che permettono più azioni legate tutte a , ovvero prendere/aprire/sporgersi, se non si è estremamente precisi con la visuale capiterà di compiere quella sbagliata. Evitabile con la pratica, ma dannatamente fastidioso quando succede.

Secondo: certe cose sono costruite o presentate in modo poco intuitivo, soprattutto se si disattiva l’interfaccia. Non dico che tutto debba essere ancora ovvio senza aiuti, o non avrebbe neanche senso eliminarli, ma la mia prima ora nella zona centrale è stata un inferno, e anche un altro paio di punti durante le missioni non scherzavano. Proseguendo si inizia ad entrare nell’ottica giusta e rimangono impressi nella memoria i percorsi principali delle relativamente piccole aree aperte di città, ma è evidente che qualcosa non quadra, e un mini-tutorial almeno per dare qualche dritta su come regolarsi rispetto a certi elementi sarebbe stato gradito.

Terzo ed ultimo: passando più volte per la stessa mappa si sentono sempre le stesse battute circostanziali. Il che è ok per le missioni (se le rigiochi non puoi sperare che i dialoghi cambino), ma decisamente non per la zona centrale, che da questo punto di vista mi ha tristemente riportato alla mente quella di Deadly Shadows. Sul serio, almeno le battute dette da personaggi invisibili e che si sentono da dentro le case potevano moltiplicarle di numero e randomizzarle, perché ad un certo punto la sensazione era quella di essere intrappolato in una variante perversa del Truman Show. Anche questo chiaramente si sopporta, ma è un brutto colpo all’atmosfera del mondo di gioco.

 

Allora, cosa ne facciamo di questo furfante?

 

La situazione dei reboot è sempre molto complicata, perché devono rivolgersi a due pubblici diversi in un colpo solo. È evidente che ad Eidos Montreal lo avessero ben chiaro e che ne hanno tenuto conto. Il risultato finale è un compromesso, un compromesso tanto per i vecchi fan quanto per le nuove leve, che fa di Thief un gioco fuori dagli schemi e con un tocco unico. I problemi di cui soffre, ad ogni modo, sono completamente scollegati da questo.

 

In un certo senso Thief vive le stesse contraddizioni di Human Revolution, perché si focalizza su dinamiche proprie originali, super-raffinate e perfezionate, ma intanto si dimentica come far funzionare al meglio le cose su larga scala. Thief è un pack di ottime missioni con dinamiche stealth più che valide, solo il tutto barcolla cercando di stare in piedi come un unico gioco moderno… ed è allora che un lavoro artistico così competente salva da un collasso peggiore.

Tutto dipende da quanto gravi si considereranno i difetti principali, e questa è una questione molto soggettiva. Pensando però al genere a cui appartiene, che già di suo richiede impegno e perseveranza, tutti questi problemi secondo me si fanno trascurabili. Se le dinamiche stealth funzionassero peggio, anche di poco, sarebbe grave. Una mappa confusionaria? Originariamente era la filosofia stessa della saga: non dare mai la certezza assoluta di dove si era per lasciare sempre un margine di dubbio e insicurezza. Thief non è quel Thief, è costruito in modo diverso, quindi qui questo diventa effettivamente un problema… solo, uno piccolo.

 

Ma non fatevi distrarre se mi concentro tanto sui difetti: è solo perché sono molto difficili da definire con precisione e cerco di darvene l’idea più chiara possibile, a fronte di punti positivi molto più ovvi… e numerosi, e rilevanti.

 

 

Thief è un gioco eccellente; “quanto” eccellente dipende un po’ da voi, da come deciderete di affrontarlo e da quanto saprete sorvolare su difetti tanto evidenti quanto in fondo accessori, ma un gioco e uno stealth eccellente pur sempre rimane.

 

Se cercate uno stealth molto malleabile e capace di chiedervi sia l’impegno minimo sindacale sia una sfida seria, eccovi accontentati. Se cercate un modo per perdervi in un mondo ricco, profondo e per niente stereotipato, Thief risponde “presente”. Se siete degli ossessivi-compulsivi e volete tante cose da trovare e raccogliere, senza dubbio qui non mancano. Se vi va di fare dei danni e delle stragi, in un qualche modo potreste comunque trovarlo divertente, almeno finché non vi fate scoprire.

Gli unici casi in cui vi sconsiglio seriamente di acquistare Thief è se cercate un no-brainer (perché la zona centrale sarà la tomba della vostra partita) o se vi piace l’azione e sapete di non amare i giochi dai ritmi lenti (perché passerete metà del tempo aspettando che qualcuno si volti da qualche parte e l’altra metà frugando cassetti).

Se non avete di questi problemi, non c’è davvero altro che dovrebbe fermarvi.