Più sistemi significano più soldi

Console e PC, parte 1 visibile qui

Console e PC, parte 3 visibile qui

 

Ho già parlato del perché, da un punto di vista strettamente tecnico, console e PC sono apparecchi da gioco molto diversi. Oggi proseguo nella mia analisi con alcune considerazioni economiche generali.

Vi chiedo di arrivare a leggere fino in fondo prima di bollarmi in qualunque modo. Mi sto addentrando in un argomento che pur non essendo particolarmente complesso va decisamente contro il “pensiero dominante” di molti videogiocatori attivi su internet; a queste persone chiedo solo di avere la pazienza di lasciarmi finire e di cercare di capire tutto quello che voglio dire, non solo quello che sono già abituati a dire e sentirsi dire.

 

Come sta in piedi il settore videoludico?

È facile, da consumatori, vedere le cose da un punto di vista personale. E non dico che sia sbagliato; dico solo che in questo caso non possiamo farlo. Quella dei videogiochi è un’industria, un’industria che muove milioni. Insomma, la premessa da cui partire è che se un publisher spende più di quello che guadagna alla fine chiude, e se vogliamo che i videogiochi esistano è meglio che tutti i publisher non chiudano.

Questo discorso si presta a letture estremizzate, del tipo “supportate sempre e comunque l’industria”, ma non è certo quello che intendo dire. Ricordatevelo da qui in avanti: non vi sto “dando ordini”, non sto dicendo quello che “dovreste fare”, sto spiegando in che modo le aziende restano aperte, punto e basta.

 

Produrre videogiochi è un investimento, nel senso esatto del termine: si spendono soldi oggi nella speranza di guadagnarne di più un domani.

Considerate che le grandi produzioni richiedono non solo tempi e forza lavoro spaventose, ma anche cifre enormi. E, ripeto, praticamente ogni spesa fatta prima della messa in vendita del prodotto non rientra: quando un gioco viene sviluppato per 5 anni e viene messo in pre-ordine a 6 mesi dall’uscita, significa che per 4,5 anni l’azienda ha speso budget stratosferici con un rientro pari a zero.

 

Il motivo della pluralità delle piattaforme

Partiamo dal contesto odierno: come ho scritto nell’incipit della parte precedente di questo speciale, ci sono svariate decine di milioni di videogiocatori attivi tanto su PC quanto su console. Quelli sono i clienti delle aziende, le persone a cui è necessario vendere per rientrare dell’investimento dello sviluppo.

Se un gioco esce su una piattaforma, lo si deve sviluppare su di essa. Ma se esce su due, tre, quattro o più non lo si deve sviluppare da capo ogni volta, basta adattare la versione originale alle altre (cosa che può essere fatta con più o meno impegno, e quindi con più o meno spesa).

 

Questo significa che quando si sviluppa un gioco, a meno di altri fattori particolari in campo, la tendenza è sempre quella di renderlo disponibile al pubblico più ampio possibile: se faccio uscire un gioco su una sola piattaforma invece che su quattro il numero di potenziali clienti a cui mi sto rivolgendo è molto minore, quindi è evidente che i guadagni saranno minori.

PS3 e Xbox 360 hanno entrambe una base installata di 80 milioni circa. Se io sono una compagnia terza da Sony e Microsoft e decido di sviluppare un gioco per puro profitto personale, e diciamo che lo sviluppo in sé mi costa 100 con la versione PS3 in mente, sto vendendo un gioco che mi è costato 100 a 80 milioni di persone. “Portarlo” anche su Xbox 360 mi costa 20, perché il gioco è già pronto, basta adattarlo un po’; la spesa aumenterebbe del 20%, la possibilità di ricavo del 100%. Quindi, evidentemente, tra spendere 100 e rivolgermi a 80 milioni di clienti e spendere 120 e rivolgermi a 160 sceglierò la seconda.

 

Questo principio ha anche un’altra faccia: se portare un gioco su una console costa di più di quanto realisticamente il pubblico di quella sola console mi pagherà non ho motivo di farlo. Insomma, se sto sviluppando un gioco per Android e farlo mi costa 100 lo porterò di sicuro su iOS per un ulteriore 10, ma non farò altrettanto con Ouya, anche allo stesso prezzo, perché portando il titolo su iOS sto aumentando la mia base installata di più del 10% rispetto a quella originale su Android, mentre con Ouya no.

Vi ho trovato una piccola chicca, una vera discussione in chiaro di alcuni sviluppatori che ragionano appunto sulla base installata di Ouya e se può economicamente avere senso o no lavorare su di essa. Spero basti a convincervi del tutto che non mi sto sognando quello che dico.

 

Le console hanno un publisher, i PC no

Oltre alla definizione “sistema chiuso” e “sistema aperto”, sui cui risvolti tecnici ho già abbondantemente parlato nella prima parte di questo speciale, a differenziare console e PC c’è un altro importantissimo elemento: la console appartiene ad un’azienda, il PC no. Sembra una cosa scontata da dire, ma ci sono dei risvolti economici non indifferenti.

C’è qualcuno che si cura effettivamente di far andare bene la propria console, che vuole vederla vendere e prendersi la fetta maggioritaria del mercato perché in quel prodotto preciso ha investito, esattamente come uno sviluppatore che investe in un gioco e poi cerca di venderlo, ma non c’è un’unica entità con potere decisionale su “il PC” che faccia lo stesso.

 

Il PC è un ambiente che non nasce per i videogiochi, che esiste e che esisterà ancora per parecchio a prescindere da essi.

Gli utenti Steam sono più di 75 milioni (fonte), i possessori del solo Windows 7 erano 600 milioni già a giugno 2012, per un totale dell’epoca di circa 1,5 miliardi di utenti Windows in assoluto (fonte). Non tutti gli iscritti a Steam sono “hardcore gamer”, persone che possiedono un PC apposta o principalmente per giocare, ma sono abbastanza sicuro che quasi tutti gli “hardcore gamer” su PC a Steam siano almeno iscritti. Se anche diciamo che i tre quarti di tutti gli iscritti a Steam (per me è molto meno) sono “hardcore gamer”, significa che stiamo coprendo meno del 3,75% del totale dei possessori di un sistema operativo Windows (ricordo che il numero di utenti Windows che ho riportato è vecchio di quasi due anni).

Questo serve a far capire tanto che “il PC” è indipendente dai videogiochi quanto che lo è ancora di più dai “giocatori veri”. Se domani mattina tutti i videogiochi su PC sparissero il settore computer di Microsoft potrebbe andare avanti senza battere ciglio, perdendo nel peggiore dei casi un 5% di utenti, e sto proprio tirando i numeri verso l’alto fino all’inverosimile (direi che 2-3% sia molto più credibile). Anche molti produttori di CPU, RAM, HDD, mouse, tastiere, monitor e così via potrebbero quindi vivere completamente senza di essi con cali nei profitti e necessità di deviare le produzioni minime.

 

Microsoft, proprietaria di Windows, non si preoccupa particolarmente del mercato dei videogiochi su PC, perché sa che è una parte minoritaria tra tutte le ragioni per cui il sistema operativo viene venduto, e lo stesso vale per Apple (Mac). Ci sono svariati produttori maggiori di componentistica hardware, ben pochi dei quali veramente concentrati sui videogiochi (Nvidia è il principale, se non l’unico). Ci sono poi diversi distributori e negozi digitali, primo su tutti Steam, che però a loro volta non hanno veramente accesso a come vive “il PC”, hanno voce in capitolo solo appunto sui giochi singoli e sulla loro distribuzione.

Insomma, il PC è la fusione di hardware e software di molte compagnie diverse, ognuna delle quali pensa probabilmente prima ai propri ricavi personali ai danni dei concorrenti che alla “salute del PC”, tantopiù del “PC da gioco”. E possono permetterselo per una ragione: il PC non rischia di sparire, persino in una situazione di caos e guerra interna totale come quella che ho descritto.

 

Il target di PC e console

Il target altri non è che il pubblico a cui ci si rivolge per vendere qualcosa. Non viene “scelto” arbitrariamente dall’azienda, è la parte di persone che per condizione economica, carattere, età, background culturale e così via è portata ad apprezzare un certo tipo di prodotto.

Per fare un esempio, il fatto che nei canali televisivi più generalisti (non specializzati su un tema o un genere molto preciso; RAI 1 è generalista, RAI News no) da sempre si trasmettano i cartoni animati di punta intorno alle 4-6 del pomeriggio non è una scelta casuale, è perché è quella l’ora in cui più bambini avranno del tempo libero (dopo la scuola ma prima di cena) e perché i cartoni animati sono rivolti principalmente ad un pubblico di bambini. Il target dei cartoni animati sono i bambini di una certa fascia d’età, e quella è l’ora a cui è più probabile trovarne.

 

“Videogiochi” non significa target unificato

Non fatevi ingannare dal fatto che pur sempre di videogiochi si parla: non tutti i videogiochi, e soprattutto non tutte le piattaforme per videogiochi, hanno lo stesso target.

Non guardate le cose dal vostro punto di vista, quello probabilmente di videogiocatori molto informati e appassionati. Non commettete l’errore di dare per scontato che tutti o quasi i videogiocatori siano come voi, perché non lo sono. I videogiochi sono un medium di accessibilità molto scalabile, scala perfettamente incarnata tanto nel PC che nelle console, ma su valori diversi.

 

Quello che cerco di spiegare, e che molti non hanno mai capito e forse non capiranno mai, è che le console non esistono per fare concorrenza al PC. Sto parlando dal punto di vista economico più generale possibile, ovvero sto dicendo che nella testa di chi sviluppa una console non c’è la “competizione” col PC, solo la volontà di vendere videogiochi a chi senza console non giocherebbe affatto o lo farebbe con molta meno convinzione.

 

Il videogiocatore medio su PC e su console

Giocare a qualcosa su un PC che si ha già a mano per altri motivi è l’accesso più basso al mondo dei videogiochi su piattaforme che non siano smartphone e simili. E ci sono tantissime persone che lo fanno, perché si tratta di una spesa talmente bassa (di fatto solo i giochi, perché il PC era già lì) da poter essere giustificata anche solo come puro passatempo o attività per scaricare lo stress.

Le console sono in una situazione molto diversa. Se compro una console lo sto facendo nel 99,99% dei casi con lo scopo preciso e principale di giocare a dei videogiochi, e si tratta anche di una spesa per qualcosa di completamente nuovo nella casa, non è l’adattamento/potenziamento di un oggetto già presente comunque. Insomma, non sto sfruttando una funzionalità extra di un PC che possiederei comunque, mi sto “andando a cercare” apposta i videogiochi con il mio acquisto.

La terza fascia, se non altro in termini di spesa, è quella dei videogiocatori desiderosi di spendere di più con componenti decisamente costose per regalarsi tanti lussi che “solo per giocare” non sono assoluamente necessari, e ovviamente questo è possibile solo su PC. Sono i giocatori che hanno un computer esclusivamente o quasi esclusivamente con l’intenzione di farci dei videogiochi, e in cui tutti i pezzi sono scelti e cambiati nel tempo in base a quello; il principio dietro il loro acquisto è lo stesso dietro a quello di una console, solo che non si fanno mediazioni di prezzo e si sceglie la personalizzabilità a svantaggio della semplicità.

 

Questo, in definitiva, vuol dire che PC e console hanno grosse porzioni di target diverse: il PC può essere “riadattato” da strumento da lavoro a macchina da gioco oppure può essere costruito apposta per quello, mentre chi sta nel mezzo tra questi due estremi potrebbe scegliere la via che promette di richiedere meno complicazioni in assoluto.

Così si capisce anche il perché di molte delle caratteristiche intrinseche delle console: semplicità e immediatezza d’uso, assicurazione di funzionamento, fascia di potenza e prezzo sufficienti a garantire versatilità ed un’esperienza di buon livello ma allo stesso tempo non troppo fuori portata per l’utente medio, poco o nessuno sforzo in direzione della personalizzabilità e così via.

 

Eccezioni al “giocatore medio”

Ovviamente ci sono delle zone grigie, composte da tutti quelli che si trovano a metà strada tra questi tre modelli. Ci sono giocatori che saranno combattuti tra la comodità di una console e la potenza di un PC, altri che faranno riflessioni sui prezzi, altri ancora sulle esclusive, molti penseranno un po’ a tutto quanto. E quante persone ci sono che hanno un PC a prescindere dai videogiochi, ci giocano anche a qualcosa ma hanno anche una console, o addirittura più di una?

Il discorso dei target che ho fatto è valido, ma non è tutto, perché in definitiva è comunque vero che “sempre di videogiochi si tratta”. I videogiochi stessi fanno da ponte tra le varie piattaforme, soprattutto quando si tratta di spendere meno o di avere una resa migliore, in base alle priorità di ognuno.

 

Curiosamente, questo può danneggiare una console da una parte o i produttori di hardware e i gestori di servizi come Steam dall’altra, ma non gli sviluppatori stessi. Se ho un PC vecchio di qualche anno, vedo che sta per uscire un gioco che mi interessa ma ho paura che di non riuscire a godermelo a dovere potrei decidere, piuttosto che mettere le mani nel PC (che uso anche per tutt’altro), di comprare una console e di giocarlo su quella. Nvidia o AMD avrebbero perso un cliente, Sony o Microsoft ne avrebbero guadagnato uno, ma chi sviluppava il gioco la sua copia l’ha sempre venduta e ha guadagnato gli stessi soldi.

 

Perché il sistema funziona?

Proprio perché i target di console e PC sono in maggior parte complementari, non conflittuali: per gli sviluppatori significa, come dicevo prima, che con una spesa di poco maggiore si ha modo di guadagnare molto di più, perché si riesce ad offrire un unico prodotto ad un pubblico più vasto.

Guardando la cosa dal loro punto di vista una copertura più estesa del pubblico è solo ed unicamente positiva. Perché lasciare fuori milioni di potenziali clienti? Meglio sono distribuite le piattaforme in base alle esigenze delle persone, più videogiocatori “attivi” si avranno, e più giochi si venderanno.

 

Mancare il target porta ad avere meno acquirenti

Buona parte delle persone che comprano una console vuole solo essere sicura di avere accesso a molti e ai migliori giochi esistenti, di poter giocare a tutti i giochi che compra e di farlo senza nessuna complicazione. Le console promettono un prezzo accessibile (non “basso”, “accessibile”), semplicità d’uso e varietà dell’offerta; è storicamente dimostrato che quelle che riescono a coprire queste caratteristiche hanno successo e le altre no.

È esattamente l’opposto del giocatore standard su PC, che come dicevo cade spesso o dalla parte di chi usa anche per giocare un oggetto che ha già comunque in casa e di cui avrebbe bisogno comunque, e che quindi non ne fa un dramma se qualche gioco ogni tanto non funziona o funziona male visto che sta spendendo pochissimo e in fondo non gli importa più di tanto, o da quella di chi vuole avere sempre accesso all’ultima tecnologia, e a cui per farlo conviene cambiare il pezzo interessato, non tutto il blocco.

 

La cosa che a molti sfugge è che una parte degli attuali giocatori su PC o su console non passerebbe automaticamente, in mancanza dell’offerta di cui si avvale, dall’altra parte. Sarebbe un po’ come dire che, togliendo dal mercato tutte le biciclette, tutti gli attuali possessori di una bicicletta acquisterebbero un’automobile, o viceversa: non è credibile.

Se ho un lavoro a tempo pieno e i videogiochi mi interessano il giusto posso anche spendere sui 100€ all’anno per comprare un paio di cose da Steam e farle nel tempo libero, ma non spenderò mai 400+60 a gioco per una console. Se invece voglio giocare a tutti i giochi maggiori in uscita (o permettere a qualcuno di giocare, ad esempio dei genitori coi figli) senza dovermi preoccupare di pezzi, compatibilità, Windows, antivirus e così via sarò contento di spendere un po’ di più per avere un apparecchio che mi dia la garanzia di funzionare bene sempre e comunque e con tutto quello che compro, ma non mi metterei mai a stare dietro ad un PC, perché non ne so nulla e ho il rifiuto dell’elettronica, o molto più semplicemente non ne ho il tempo e la voglia.

 

La regola di fondo è che se il cliente è soddisfatto compra di più che se si deve adattare. Fare stime su quanti giocatori in meno ci sarebbero oggi senza console o senza PC, soprattutto guardando le cose da un punto di vista storico, è terribilmente difficile, ma l’unico dato indiscutibile è che ce ne sarebbero meno.

Desiderare che vada così è già abbastanza stupido di suo, ma ha conseguenze ben peggiori sui giochi stessi.

 

Le produzioni maggiori hanno bisogno di una copertura a tappeto dell’utenza

Qualcuno su internet ha l’abitudine di considerare la propria piattaforma “superiore” e per questo di non considerare “veri giocatori” tutti gli altri, ma queste persone non tengono conto di un dettaglio non da poco, soprattutto per quanto riguarda il duopolio PC-console (meno vero tra le varie console, che in effetti di solito possono soppiantarsi a vicenda senza creare problemi sotto questo punto di vista): meno piattaforme significano meno soldi, per tutti.

Mi spiego. Se ci sono, come abbiamo detto, circa 80 milioni di giocatori su Steam, 80 su PS3 e 80 su Xbox 360, chi sviluppa un gioco che esce su tutte e tre le piattaforme si sta rivolgendo ad un pubblico di 220-230 milioni di utenti (qualcuno avrà più di una piattaforma). Se, diciamo, una persona su 50 compra il gioco, il totale delle vendite è di più di 4 milioni di copie; se ogni copia è venduta, semplificando molto, a 60 euro, significa che gli introiti per lo sviluppatore sono bene o male 250 milioni di euro.

 

Domanda: quanti soldi puoi permetterti di spendere in fase di sviluppo se le tue speranze sono di guadagnare sui 250 milioni? Ve lo dico io: molti di più di quelli che potresti se gli incassi fossero la metà, o un terzo.

Il fanatico del PC che gioca a Crysis 3 a 120 fps in 4K e dice di compatire i paesants che si accontentano di “un’esperienza inferiore” su PS3, Xbox 360, Wii U, o persino PS4, Xbox One o un PC più debole del suo, non capisce che sono quelle stesse persone a finanziare il gioco che lui sta giocando. Senza quelle persone i clienti raggiungibili dagli sviluppatori sarebbero una frazione di quelli attuali, e quindi i fondi investiti nello sviluppo di quegli stessi giochi sarebbero minori di quelli attuali, e ovviamente le conseguenze si ripercuoterebbero sui giochi stessi.

La tendenza naturale del mercato videoludico negli ultimi decenni è sempre stata quella dell’unificazione dell’offerta (più giochi escono su tutte le piattaforme, meno solo su alcune), e il motivo è esattamente quello che ho appena illustrato: più sono le piattaforme su cui esce un gioco più sono i soldi che si possono investire per quel gioco, avendo quindi un prodotto in definitiva migliore.

 

Ed è una tendenza decisamente encomiabile, perché alla fine avvantaggia tutti: permette di sviluppare titoli a budget più alto, quindi probabilmente migliori, e allo stesso tempo li rende disponibili al maggior numero di persone possibile, scalandoli in base alla fascia in cui si posizionano gli acquirenti.

La pluralità di piattaforme e fasce di qualità dei prodotti per come è gestita oggi è qualcosa per cui chi ha le macchine di livello più alto dovrebbe ringraziare, non lamentarsi. Però, come dicevo all’inizio della prima parte, statisticamente “fanatico” e “persona con un cervello” non vanno insieme.

 

 

Con questo articolo spero di avere illustrato chiaramente perché la “convivenza” economica di PC e console avvantaggia tutti senza danneggiare realmente nessuno, e quindi perché essere tolleranti fa bene anche a se stessi oltre che agli altri.

Se stessimo quindi ragionando tutti per il nostro bene vorremmo che le persone acquistassero piattaforme da gioco e giochi il più possibile, sempre e comunque. Peccato che non sia così. E dato che c’è un’innegabile spaccatura tra quello che la razionalità suggerirebbe come la scelta migliore e l’effettiva scelta di molti, la terza ed ultima parte di questo speciale farà un passo ulteriore: cercare di capire perché la console war esiste, e quali logiche la regolano.

 

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Lorenzo Forini
Sono nato a Bologna nel 1993, videogioco da sempre, e da sempre mi ha affascinato l'idea di andare oltre al solo giocare, di cercare di capire cosa c'è nascosto in ogni titolo dietro al sipario più immediato da cogliere. Se i videogiochi sono una forma d'arte, forse è il caso di iniziare a studiarli davvero come tali.

3 Responses to “Console e PC, parte 2: la complementarietà economica dei due poli”

  1. […] da Sony e Microsoft per peggiorare Watch Dogs su PC, che devo dire è abbastanza comica, visto che console e PC sono mercati complementari e non conflittuali, e che il conflitto stesso esiste solo nella testa di chi lo cerca a tutti i […]

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