La saga di Rayman è di sicuro una delle più belle a cui abbia giocato, ma durante la sua storia è stata al centro di numerose turbolenze mediatiche e di critiche, avendo mutato più volte la propria forma. Il primo gioco, intitolato semplicemente “Rayman”, approdò nel 1995 su Atari Jaguar, Saturn e, ovviamente, sulla prima Playstation. Colpì soprattutto per i suoi colori sgargianti e per il suo gameplay spiccatamente platform, rigorosamente in 2D.
Col tempo, però, sono usciti altri titoli che, nel bene o nel male, hanno portato notorietà al brand. Già dal secondo capitolo, infatti, la grafica diventa poligonale e ci viene permesso di osservare la Melanzana viola da più prospettive. A quanto pare, i tempi in cui non era possibile dare al personaggio gli arti, per via della scarsa abilità dei programmatori, sembrano già lontani. Nonostante questo cambio di rotta, che ha lasciato sorpresi alcuni fan, il gioco si rivela ottimo. Anche il terzo capitolo è programmato in tre dimensioni, tuttavia Ubisoft decide di allargare il target a cui il gioco è rivolto e inizia a inserire alcuni elementi per attrarre il pubblico adulto (cosa secondo me futile). Ora invece si arriva all’elemento più caratterizzante; dopo alcuni interventi su console portatili, Rayman fa la sua comparsa sulla neonata console Nintendo: Wii. Ubisoft capisce però che il pubblico giovanile porta molto guadagno e non solo il progetto non è più un platform, diventando quindi un Party Game, ma assistiamo all’entrata in scena dei maledetti conigli: i “Rabbids”. Ed è qui che la serie inizia la sua discesa verso l’oblio. La saga, infatti, si trasforma in una manovra puramente commerciale per aumentare gli introiti di Ubisoft. Dall’ucita del gioco, dunque, iniziano ad essere prodotti centinaia di gadget, t-shirts, pupazzetti, tazze e tavolette per il water, interamente dedicati ai conigli stramboidi. Insomma, i Rabbids piacciono, Ubisoft continua a far uscire giochi dedicati (accompagnati ogni volta da gadgets e persino da un cartone animato) e, in poco tempo, Rayman passa da maestro a bidello, da direttore d’orchestra a spettatore, guardando, invano, la sua fine, dalle feritoie del ripostiglio di Ubisoft.
La situazione, però, è destinata a cambiare, a dimostrazione del fatto che nella software house parigina ci sia qualcuno con un po’ di sale in zucca. E così, nel Novembre 2011, viene pubblicato Rayman Origins.
Il gioco, finalmente, è ritornato un platform ma, soprattutto, in 2D. E la cosa che si nota per prima è, senza dubbio, lo stile grafico. Il gioco, infatti, si presenta con una deliziosa grafica in stile cartoon, disegnata a mano e piena di particolari, ma che soprattutto ricorda quella del primo Rayman. Difatti, è proprio a quel gioco che si ispira questo Origins, un “ritorno alle origini”, come suggerisce il titolo stesso. Sembra che Ubisoft sia pentita dei peccati commessi e, per imboccare la via della redenzione, fa uscire questo gioco. Non male, Ubisoft…
La trama, per quanto poco presente, vede i protagonisti Rayman e Globox alla ricerca degli Electoons, rinchiusi in gabbie sparse per i livelli, dai Darktoons.
Come già detto, la grafica è uno dei punti forti; ogni dettaglio è stato disegnato con cura certosina, senza lasciare nulla al caso. Le ambientazioni sono favolose, colorate e “vive”. Camminando tra di esse, infatti, ci imbatteremo in piccoli eventi che caratterizzano i personaggi. Ci capiterà, per esempio, di osservare un personaggio nemico “giocherellare” (per non dire maltrattare) un Lumos (la “moneta” del gioco). Si capisce fin da subito come questo titolo punti molto sulla comicità, con parodie più o meno celate, e scenette alla slapstick comedy, che si rifanno ai classici cartoni animati anni ’40.
Fatte le dovute premesse allo stile grafico, il secondo elemento più caratterizzante è ovviamente il gameplay, profondo e dannatamente difficile. In un panorama videoludico dove la maggior parte dei giochi in uscita sono FPS bellici, titoli come questo non fanno fatica a ritagliarsi una propria fetta di mercato, con i propri fan. È per questo che Rayman Origins è farcito con uno stile di gioco “da gourmet”. Se nel frattempo avete riconosciuto qualcosa di familiare, non avete torto. Fin dai primi istanti di gioco, infatti, si riesce a intravedere una voglia di strizzare l’occhio ad un certo idraulico italiano di nostra conoscenza. È difficile non fare un paragone con la mascotte di Nintendo, Mario, visti i numerosi punti in comune. Uno di questi si può scorgere facilmente nella gestione del marketing da parte di Ubisoft; dopo aver cercato di allargare il target di destinazione con delle stupide battutine per adulti, Ubisoft ha preferito seguire la strada insieme ad un pubblico composto prevalentemente da bambini, traformando però il brand in qualcosa di commerciale e privo di qualsivoglia difficoltà in termini di gameplay. Con questo gioco, però, Ubisoft ha deciso di dare qualcosa di più ai fan della vecchia guardia, ma lasciando invariato lo stile cartoonesco, per accogliere consensi da parte dei bambini (anche se un Rayman dai toni dark non avrebbe avuto molto senso). , Un titolo perciò all’apparenza fanciullesco, nasconde in realtà un gameplay mostruoso e profondo (in questo momento al Signor Miyamoto staranno fischiando moltissimo le orecchie).
La difficoltà è la parte centrale di questo videogioco. All’inizo potrebbe non sembrare, ma col tempo si inizierà a morire più spesso e con maggiore frustrazione. Ma il bello di Rayman è questo: la difficoltà non è rappresentata da un sistema di gioco punitivo, anzi, ogni volta che si muore si riparte dal checkpoint (all’inizio delle sequenze che compogono i livelli), inoltre non c’è neanche un contatore di vite; si può provare quante volte si vuole. Rayman basa la sua difficoltà sulla scaltrezza del giocatore, sui suoi riflessi, sulla sua voglia di rischiare (“Cosa faccio? Quelle moneta isolata la prendo oppure no?”). Ed è per questo che Rayman riesce a far divertire. Non ci sono neanche mezzi o trucchetti speciali per finire ogni livello, sono così, e così vanno superati. L’argomento della difficoltà nei videogames è stato molto discusso negli ultimi tempi; c’è chi dice che è andata calando, che è praticamente inesistente, oppure chi dice che grazie alle moderne tecnologie si sono presentati nuovi tipi di sfide, diversamente difficili. Se dovessi scegliere, io non mi schiererei da nessuna parte; è già stato ampiamente dimostrato come molti dei giochi moderni possano benissimo competere con quelli di una volta, ma è anche vero che giochi come Rayman, per esempio, ce ne sono pochi, dunque si potrebbe dire che la prima ipotesi sia vera solo in parte. Perciò, il segreto è non generalizzare. Ad ogni modo, voglio lodare questa scelta degli sviluppatori di creare un gioco che si butti a capofitto nel mercato attuale, senza aver paura di non poter competere con altri titoli molto più importanti (e più seguiti). Si può dire che Ubisoft abbia fatto una scommessa, e apparentemente l’abbia vinta.
Questo Rayman si è presentato quindi come un titolo piuttosto atipico, inusuale. E c’è un altro perchè, oltre a quelli già citati. Nel gioco, infatti, è di enorme importanza un elemento a volte un po troppo trascurato: il sonoro. Non fraintendetemi, in molti giochi la soundtrack o gli effetti sonori hanno posti d’onore, ma qui il sonoro è parte integrante del gameplay stesso. Non proprio perchè “si gioca” (come si potrebbe fare per esempio in “The Impossible Game”), piuttosto perchè ogni azione compiuta corrisponde ad un particolare effetto. Se prima ho citato le slapstick comedy per gli effetti visivi, qui una menzione per quelli sonori è d’obbligo. Dare un pugno ad un nemico, saltare su delle piante, non è come negli altri giochi. Qui è tutto basato sulla musica. L’essenza stessa è basata sulla musica. In ogni ambiente abbiamo un tema diverso, che muta a seconda delle situazioni. Nuotiamo in un mare rilassante? Le nostre orecchie ascolteranno un leggero coro da parte dei Toons. Siamo in un’ambientazione basata sul cibo piccante? Come poteva non mancare una tipica canzone messicana?
Si potrebbe parlare per ore di questo gioco, ci sono ancora un sacco di cose che non ho citato, come le reliquie, esclusive solo per la versione Ps Vita, oppure della sua magnifica giocabilità… In ogni caso, volevo soltanto elogiarlo soprattutto per la sua difficoltà, seppur ridotta a chi è cresciuto a “pane e platform” come me (io direi “Si platina che è un piacere”). Se non avete ancora comprato o giocato questo titolo, fatelo, ne varrà la pena, e vivrete anche voi la magia di Rayman.