Ennesimo capitolo dell'incapacità di approcciarsi ad un possibile problema in modo fruttuoso

Come riporta il Telegraph, un comitato di 16 scuole inglesi (il “Nantwich Education Partnership”), 15 scuole elementari e un liceo, ha fatto sapere ai genitori dei loro allievi che, nel caso gli insegnanti venissero a sapere che i ragazzi giocano a titoli indicati come 18+ dal PEGI, è loro “suggerito” di informare immediatamente la polizia e i servizi sociali.

 

La logica dietro a questa scelta, sempre per bocca della Nantwich Education Partnership, è che i suddetti titoli indurrebbero “comportamenti sessuali precoci” negli alunni. Il comunicato informa:

È stato riportato che diversi ragazzi giocano o guardano adulti giocare titoli che sono inappropriati per la loro età, e hanno descritto i livelli di violenza e contenuti sessuali che hanno visto: Call Of Duty, Grand Theft Auto, Dogs Of War e altri titoli simili sono tutti inappropriati per i bambini, che non dovrebbero avervi accesso.

 

Al che, la domanda che tutti si stanno ponendo ovviamente è: cosa accidenti è “Dogs Of War”? Ho scoperto solo ora che esiste effettivamente un titolo semi-ignoto con un nome simile su Steam, ma dubito ci si riferisca a quello. Quindi o si parla del Dogs of War del 1989, che non è esattamente di cocente attualità e sulla bocca di tutti i bambini, o qualcuno è talmente informato sulla situazione e ha studiato talmente a fondo gli elementi del caso prima di esprimere un giudizio da non andare neanche vicino al titolo giusto di Watch Dogs.

Ma su questo torneremo tra un momento. A quanto pare, infatti, il comitato è anche contrario all’idea che i ragazzi abbiano qualsiasi forma di accesso ai social media “come Facebook e WhatsApp, perché potrebbe renderli vittime di adescatori sessuali”, riporta Telegraph:

“L’accesso a questi giochi o ad alcuni social media come quelli sopra citati aumentano i comportamenti sessuali precoci (a volte dannosi) nei bambini e li lascia vulnerabili ad adescatori per sfruttamento sessuale o estrema violenza.

 

 

Ovviamente capisco la logica dietro ad una presa di posizione simile, ma personalmente ho tre problemi non marginali con questa iniziativa.

 

Il primo è che tecnicamente non si parla soltanto di scuole elementari, ma anche di istituti che ospitano ragazzi di 15, 16 , 17 anni e più. Il buon senso suggerirebbe che questo approccio li escluda a prescindere e ci si focalizzi solo su bambini molto giovani, ma non viene specificato in nessun modo, anzi, da come la riporta il Telegraph sembra che tutti e 16 i membri del gruppo abbiano firmato la lettera, incluso l’istituto superiore. È ovviamente assurdo trattare a questo riguardo persone di età così diverse alla stessa maniera, e la motivazione del prevenire “comportamenti sessuali precoci” è ancora più assurda se applicata a dei quasi maggiorenni.

Il secondo è che questo operato non rinforza il controllo su un principio già vigente, ma ne stabilisce da zero uno tutto nuovo e potenzialmente lesivo della libertà personale: i giochi indicati come 18+ PEGI non sono più concepiti come materiale vendibile a maggiorenni (quello che dice la legge inglese), ma giocabile da maggiorenni, o addirittura guardabile da maggiorenni. Il che è ovviamente molto diverso, e non un passo leggero e automatico che spetti fare a 16 scuole da qualche parte nel Cheshire, ma eventualmente al Parlamento.

Il terzo, il più grave e il più ovvio, è che – come sempre – chi decide che i videogiochi sono dannosi e che qualcun altro non deve giocarli non sembra avere per nulla il reale polso della situazione, anzi, non perde occasione per dimostrare l’esatto contrario: se rileggete il testo vi accorgerete che gli insegnanti non hanno neppure visto loro stessi i titoli di cui parlano, li conoscono solo per come sono stati “descritti” loro da qualcun altro e (parrebbe di capire) dai bambini stessi. “Dogs of War” è la ciliegina sulla torta, e non fa altro che evidenziare come la volontà di informarsi e prendere una decisione giusta e bilanciata non arrivi neanche al fare una ricerca su Google prima di pubblicare un comunicato ufficiale.

 

Un’educazione alla fruizione dei videogiochi sembra abbastanza importante al giorno d’oggi, e non c’è dubbio che lo stesso (se non di più) valga per i social media; non discuto che dei limiti possano esistere, e non discuto neanche possano in qualche misura essere imposti e non solo impliciti.

Il problema è che di questi due argomenti (e di un’infinità di altri sorti con l’era di internet) non può continuare ad occuparsi qualcuno il cui approccio è il bando universale a prescindere e alla cieca. La prima regola, sempre e su tutto, è che prima di aprire la bocca bisognerebbe sapere di cosa si parla. Prima si studiano i problemi e poi si cercano delle soluzioni, non prima si inventano soluzioni e poi si inventano problemi per giustificarle.

Perché tutto questo, alla fin fine, farà con ogni probabilità più danni che altro, se mai verrà sul serio implementato. Un ragazzo di 12 anni non smetterà di giocare a CoD o a GTA perché la maestra di matematica cinquantacinquenne gli dice che videogiochi di cui non sa neanche pronunciare il nome sono diavolerie che gli friggono il cervello. Forse si potrà fare smettere a sua madre di comprarglieli sotto minaccia, ma questo non farà smettere a lui di volerci giocare, e di sentirsi trattato come un criminale per desiderare una cosa che tutti gli altri bambini fanno e che sembra perfettamente normale.

Lorenzo Forini
Sono nato a Bologna nel 1993, videogioco da sempre, e da sempre mi ha affascinato l'idea di andare oltre al solo giocare, di cercare di capire cosa c'è nascosto in ogni titolo dietro al sipario più immediato da cogliere. Se i videogiochi sono una forma d'arte, forse è il caso di iniziare a studiarli davvero come tali.

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