Durante la propria vita un Gamer riceve tantissime gioie, che soltanto i videogiochi possono regalare. Elencarle sarebbe superfluo, però una in particolare è degna di menzione: quella del retrogaming.

Per essere appassionati di videogiochi non ci vuole tanto, soprattutto di questi tempi. Ormai i videogames sono riusciti a raggiungere milioni di case in tutto il mondo, in sempre più differenti modalità. Stiamo pur sempre parlando dell’era di Internet, dell’Informazione! I media riescono ad influenzare ogni tipo di target, perciò non è poi una così grande sorpresa questa enorme crescita videoludica. Persino le più grandi produzioni holliwoodiane temono gli incassi dei videogiochi dei giorni d’oggi. Manco a dirlo, una volta non era così.

Questi famigerati “Gingilli elettronici” ci hanno messo un bel po’ prima di essere annoverati tra l’olimpo dei mass media. Una parte del mondo li ha sempre considerati come dei semplici passatempo (questa parte vive ancora tutt’oggi), soltanto in pochi, all’epoca che fu, iniziarono a considerare “Arte” quei quattro pixel messi in croce. Oggi è facile, grazie alle intricate trame prodotte da grandi scrittori (o quasi) e alla capacità di calcolo altamente sviluppata. Le persone ciniche di una volta infatti avevano le proprie ragioni, ma ora non ci sono più scuse. Una domanda sorge però spontanea: “Ma le persone adoratrici dei quattro pixel messi in croce, esistono ancora?”.

A questa domanda non è poi così facile rispondere. Ipotizzando per esempio che qualcuno sia cresciuto con una console storica degli anni ’80, una volta che questo qualcuno sia diventato adulto e che non abbia ancora smesso di giocare, avrà pure alzato i propri standard qualitativi in termini di capacità di calcolo, no? Avrà pure l’esigenza di una grafica più avanzata, il sonoro migliorato e comandi più maneggevoli? Ovviamente sì, per alcuni. E se invece altri non avessero queste esigenze, o perlomeno solo in parte? E se questi amassero invece la grafica vettoriale o quella ad 8 Bit? Beh, queste persone si possono chiamare Retrogamers.

Il fascino per l’antico, per il passato, è sempre stata una costante dell’uomo. Alcuni potrebbero chiedersi: “A cosa ci serve conoscere il passato?”. Per citare Cicerone, mi piacerebbe rispondere: “Historia est testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae”. In parole povere, la storia è testimone dei nostri tempi, è la luce della verità, la vita della memoria e maestra di vita. Sostanzialmente, per capire il presente bisogna soffermarsi sul passato. Questo vale anche per i videogiochi. Per capire come i videogiochi si siano evoluti, quali balzi evolutivi abbiano dovuto fare e quali ostacoli abbiano incontrato, bisogna guardare al passato. Bisogna giocare il passato. Magari mentre lo si fa si potrebbe anche far scappare qualche flashback nostalgico.

Le gioie di un retrogamer, come già detto, sono tante. Una di queste è di sicuro quella del collezionismo. Molto spesso (ma non in tutti i casi) chi è retrogamer è anche collezionista. La mania del collezionismo è qualcosa che ti prende, ti contorce, ti fa piangere, ti fa gridare di gioia. È basata quasi sempre sul desiderio, prima, sull’orgoglio dopo. A tutti piace andare fieri di qualcosa e un retrogamer andrebbe fiero della propria collezione. È una mania di completismo, di spingersi anche oltre i limiti. Non sempre è una cosa positiva, anzi, colui che sta scrivendo ha regalato anche troppi soldi al Dio delle Collezioni. Bisogna cercare di controllarsi. Se si passano TROPPO i limiti, la gioia diventa una pena, perciò non vale neanche più la fatica della collezione.

Può valere però anche il contrario. Come ho detto, non in tutti i casi di retrogamer è presente la mania di collezionismo. Magari alcuni individui possiedono poche retro console, anche solo una e la/le amano alla follia. Hanno più ricordi passati insieme, più graffi o ammaccature, segno comunque di affetto (o perlomeno di “presenza”).

Prima o poi tutti diventiamo retrogamer, se siamo dei gamer. Anche solo per pochi istanti, senza che ce ne accorgiamo. Se io per esempio dovessi smettere di videogiocare così all’improvviso, prenderei la mia console (facciamo finta di averne solo una) e la depositerei in soffitta. Dopo anni, arrivato magari il momento di un trasloco, mi recherei in soffitta e cosa troverei? La mia console. Alzo il coperchio del baule. Allungo la mano sulla scatola e scopro di avere un contatto dopo molti anni. La tiro fuori e mi accorgo di essermi scordato di quanto fosse pesante. Scorgo un po’ di polvere e leggo il nome del gingillo elettronico che mi ha regalato ore di divertimento. In quel momento iniziano a balenarmi per la testa centinaia di ricordi che sono rimasti nascosti nel mio cervello per tanto tempo. Quei ricordi mi piacciono, me li sto godendo. In quel momento sono retrogamer.

È davvero difficile descrivere cosa si prova quando si ha un contatto con qualcosa di antico. Utilizzare il dito per scovare i segni lasciati dal tempo è un’esperienza da provare.  Se quell’oggetto è appartenuto a qualcun’altro, allora è ancora più emozionante. Sappiamo bene che solo i videogiochi sanno donare un certo tipo di emozioni. E soltanto il fatto di sapere che quell’oggetto ha fatto il proprio dovere ti fa star bene.

Non si parla solo di materiale, di concreto, ma anche di astratto, di immaginato. I videogiochi vecchi hanno questa capacità, che col tempo sta sempre più svanendo: dare la possibilità al giocatore di immaginare. Abbiamo sempre più ambienti realistici e interagibili, che però limitano la “libertà di pensiero” del giocatore. Date le scarse capacità di calcolo delle macchine di un tempo, stava poi al player interpretare il tutto. Un quadratino poteva essere un drago, una torre, un’astronave o uno zombie. Chi lo sa? Lampante è l’esempio del Magnavox Odyssey, che essendo una console da attaccare al televisore e non avendo una vera e propria grafica, era dotato nella confezione di “tappetini” di plastica semitrasparente da appiccicare al televisore, a mo’ di grafica. Ne esistevano di vari tipi: alcuni avevano percorsi, altri raffiguravano per esempio campi da Football, Tennis e Hockey. Uno era persino una sorta di Roulette, accompagnato da fiches e carte. Tutto ciò che si vedeva sullo schermo televisivo, infatti, erano uno o due quadratini bianchi da controllare liberamente. Il resto spettava la giocatore.

Perciò, le gioie di un gamer, come abbiamo capito, sono molte, così come le pene. Si può dire lo stesso anche per un retrogamer. Essere retrogamer non vuol dire essere “obsoleti”, o poco al passo coi tempi. Vuol dire amare il passato, per capire il presente e vedere in anticipo il futuro. D’altronde moltissime console attuali si sono ispirate a quelle del passato. Un retrogamer queste cose le sa. Diventate retrogamers e sarete gamers “completi”.

Jake Joke
Questo utente è troppo pigro o troppo impegnato a giocare per completare il suo profilo.

6 Responses to “Le gioie di un Retrogamer”

  1. Sempre tenendo conto che gioco commerciale non sempre vuol dire brutto gioco

  2. Zone ha detto:

    Io gioco ai videogiochi vecchi, quelli non troppo vecchi e quelli recenti a patto che siano belli, divertenti ed originali, evitando prevalentemente le commercialate (quelle estreme).

  3. Come del resto c’è chi dice: “i giochi vecchi fanno schifo, sono molto meglio di quelli moderni”. Come mi sembra di aver capito anche tu dica, bisogna trovare un equilibrio :)

  4. Giof ha detto:

    Il retrogaming è uno state of mind, un modo di pensare e interpretare i videogiochi. Una filosofia di gioco e di vita. Un porto franco cui fare ritorno dopo aver attraversato le tempeste della grafica next-gen. Per molti di noi, un posto dove sentirsi a casa.

    Invidio le tue console.

  5. Nerd Inside ha detto:

    Vero. Non è difficile trovere nei forum questo tipo di gicatori, che cerca sempre di “sopprimere” gli altri attraverso la solita scusa: “Era meglio una volta!” oppure “Ai miei tempi i gioci erano meglio perchè…”. Dopotutto il progresso è anche una cosa fantastica. però ogni tanto uno sguardo al passato va dato, per capirlo questo “progresso”.

  6. Sono d’accordo. Conoscere la storia (non solo in ambito videoludico) è essenziale per comprendere il presente. Senza conoscere il passato, non ci si può assolutamente definire “giocatori completi”.
    Naturalmente questo non vuol dire, però, rimanere ancorati al passato. Dobbiamo far tesoro delle esperienze, senza però mitizzare i “vecchi tempi”. Non dico di avere cieca fiducia verso il progresso, ma non dico neanche di credere incondizionatamente in un costante regresso dell’apparato videoludico. La verità, secondo me, sta in una via di mezzo. Purtroppo, però, spesso mi capita di vedere questo tipo di “estremisti”

Lascia un commento