RetroGaming, puntata 7: MoHo (2000; PS1, Dreamcast, PC)

Il gioco di oggi è per diversi motivi una sorta di enigma. È un enigma il perché un titolo così originale e interessante sia stato a suo tempo snobbato e oggi completamente dimenticato. È un enigma come i suoi sviluppatori se ne siano usciti dal nulla con qualcosa di così insolito ma allo stesso tempo ben realizzato e come siano subito dopo spariti per sempre. È un enigma come nessuno si ricordi di quello che probabilmente è stato il primo videogioco “maggiore” a basare pesantemente il proprio gameplay su una fisica in tempo reale tra solidi (neanche rigidi, tra l’altro).

Ma è anche un discreto enigma il perché, di tutti i giochi mai esistiti su PS1 e di tutti quelli che ho mai posseduto e giocato, uno dei neanche 10 dischi che ho ancora in casa sia proprio MoHo.

 

Cercando un po’ su internet qualche informazione su MoHo i risultati erano virtualmente nulli, e la cosa mi incuriosiva parecchio. Potevo capire che non in tanti se lo ricordassero, ma sparire del tutto? Poi è arrivata la rivelazione: MoHo è il titolo europeo, in America lo stesso identico gioco è uscito con un nome diverso (cosa rara, ma che a volte capita).

E sì, anche io all’inizio facevo fatica a credere fosse vero. Dobbiamo trovare chiunque si sia occupato della distribuzione e fargli un discorsetto.

 

Ball Breakers - cover (USA)

È ufficiale: esiste un gioco intitolato “Spacca-palle”. E io ce l’ho!
Immagine originale qui.

La trama di MoHo è molto semplice: in un mondo di cui non sappiamo nulla, ma che si suppone sia abbastanza futuristico, esistono delle prigioni appositamente per i robot. In queste prigioni si svolgono delle competizioni all’ultimo sangue tra i detenuti, e chi riesce a sopravvivere e a vincere può ottenere la libertà.

Suona come un’opportunità da prendere, piuttosto che vivere per sempre (quanto vive un robot?) in una cella.

Suona un po’ meno bene che ai suddetti robot, prima di poter prendere parte alla competizione, vengano senza tanti convenevoli segate le gambe per essere sostituite da una sfera legata a distanza al corpo. Il motivo non si sa, ma di sicuro ai fini del gioco è una cosa interessante.

Se invece vi chiedevate cosa significa MoHo, sappiate che me lo chiedo ancora anche io.

 

Una piccola nota di colore riguardo le localizzazioni: l’introduzione, l’unica parte parlata di tutto MoHo, in inglese fa parecchio schifo, mentre in italiano è stranamente epica. Un esempio applicato di quanto un doppiaggio azzeccato cambi le cose.

 

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=qWqC5Hm5iDg]

 

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=ajzPG0BUUjg]

 

Un’altra curiosità: il gioco è stato valutato E (“Everyone”, “per tutti”) dall’ESRB americano e addirittura 3+ dall’ELSPA (una specie di antenato del PEGI) nonostante non solo mostri e inciti ad usare violenza fisica su esseri antropomorfi, anche con armi da corpo a corpo (mazze, spade, una trivella…) e con ventilatori, lanciafiamme, laser e altre trappole ambientali dai risvolti poco felici, ma abbia un filmato introduttivo in cui ad un robot incatenato dall’aspetto completamente umano vengono segate le gambe con una lama rotante tra grida di dolore. Bei tempi.

 

All’avvio del gioco bisogna scegliere uno dei cinque personaggi disponibili e con esso iniziare a provare a superare i vari livelli. La campagna è suddivisa in prigioni, ognuna con un certo numero di singole arene che una volta completate daranno una medaglia. Ogni missione ha un tempo sotto al quale bisogna restare per superare la prova, ma c’è anche un “tempo ottimale”, logicamente più basso, che se battuto sblocca una seconda medaglia, d’oro. La prigione successiva si sblocca quando si accumulano abbastanza medaglie dei due tipi, le nuove arene permettono di ottenere a loro volta nuove medaglie e così via fino alla fine del gioco.

I livelli in totale sono una settantina, tutti assolutamente diversi benché appartenenti a sette categorie prefissate (che determinano l’obiettivo della partita): si va dall’uccidere tutti gli altri robot dell’arena a vere e proprie corse in circuiti, con tutto quello che c’è nel mezzo – in gran parte prove a tempo di varia natura (raccogli tutti gli oggetti, arriva alla fine, lancia abbastanza palle contro il bersaglio…).

C’è  anche una prigione “extra”, i cui livelli si sbloccano singolarmente man mano che si ottengono medaglie d’oro, e che sono tutti… partite a golf virtuali. Ovviamente con una palla identica a quella del nostro robot.

 

MoHo - screenshot

Poche immagini reperibili, tutte a bassa risoluzione. La condanna dei giochi dimenticati.
Immagine originale qui.

Le arene sono generalmente curate e lo stile decisamente insolito dà loro un tocco di classe, ma il vero punto di forza di MoHo è il suo sistema fisico, che si lega saldamente al gameplay.

Il corpo di ogni robot è solo un’aggiunta grafica, è la palla quella su cui agiamo muovendo la levetta (o i tasti, su PC). Sto parlando di vera fisica dei corpi in tempo reale, o ad ogni modo di un suo surrogato dannatamente convincente. In un gioco del 2000, che andava su PS1, una console del 1994.

Si sentono benissimo i diversi attriti dei terreni, l’inerzia (che è una delle componenti più importanti e più peculiari), la gravità dovuta alle varie pendenze… fisicamente parlando, MoHo è avanzatissimo, al pari di un simulatore fisico attuale (di quelli generalmente inseriti in un minigioco o in un gioco in flash). Per mettere ancora più carne al fuoco l’ambiente, in termini proprio di terreno, è interamente soggetto a “oscillazioni” nel caso di esplosioni o di urti molto forti, che provocheranno delle onde “sismiche” circolari che – ovviamente – avranno voce in capitolo nella fisica delle palle.

L’unione così ben riuscita e così ben bilanciata di fisica e vero e proprio gameplay tradizionale – si deve combattere, correre, affrontare delle fasi platform ecc. – fa di sicuro di MoHo uno dei titoli tecnicamente più avanzati della sua generazione, nonché un gioco perfettamente comprensibile e godibile oggi.

 

Il gameplay di per sé, moviementi e fisica a parte, è abbastanza semplice: si possono tirare dei pugni, parare, attaccare con un’arma (qualora la si raccolga) e anche colpire con una strana mossa che fa eseguire al personaggio una rapida rotazione del corpo di 360°, smanacciando chiunque gli sia intorno.

Le barre a video sono tre: una, ovviamente, per la vita; un’altra per quella che chiamerei “energia”, e che serve per eseguire alcune azioni particolari (il colpo circolare di poco fa e l'”inchiodata” con la ruota); una terza, che si riempie man mano che si viene colpiti, e che quando al completo permette di lanciare un altro attacco circolare, solo molto più lungo e ininterrotto (“vortice di sberle”?).

Tutte queste azioni normalmente abbastanza banali e basilari diventano però molto più interessanti per via della fisica: bisogna “guidare” e combattere allo stesso tempo, perché anche venire colpiti farà leggermente rotolare indietro, trasformando dei banali picchiamenti a uno o due tasti in sfide tattiche dinamiche e molto semplicemente divertenti da affrontare.

 

MoHo - istantanea filmato

Non so bene il perché, ma mi sembrava il caso di condividere questo fotogramma con tutti voi. Forse a renderlo speciale sono le frecce sullo sfondo, che sottolineano subliminalmente il movimento in primo piano, o forse la particolarità di una scelta cromatica che mescola grigio, verde, marrone scuro e rosso acceso senza veramente stonare.
Oppure sono solo con l’acqua alla gola con le immagini da usare e sto tirando dentro tutto il possibile. Se dovessi scommetterci, direi che la verità sta nel mezzo.

 

Mi perdonerete se l’articolo di oggi è più scarno di contenuti del solito, ma è davvero difficile parlare di MoHo pur avendolo giocato tanto e avendolo apprezzato altrettanto. Il motivo è che proprio per la particolarità del gioco e per una mancanza di paragoni non so veramente da dove cominciare per inquadrarlo in un’ottica unitaria, trovandomi costretto a descrivere singolarmente le sue componenti più immediatamente comprensibili. Posso senza problemi dire che una bicicletta ha un manubrio, due ruote e dei pedali, ma non so se riuscirei a spiegare a un pesce come andarci.

Spero però di farmi perdonare linkandovi un video, caricato gentilmente da qualcuno tre anni fa, che si esprimerà di sicuro più chiaramente di me (registrare da una PS3, o da una PS2, è un po’ complicato, e con un emulatore su PC non sono andato tanto oltre il menù iniziale).

 

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=KLay-rh4X88]

 

(Per inciso: il gioco, sia su PS2 che su PS3, gira praticamente sempre in modo pulito e fluido, restando stabilmente intorno ai 30 fps e calando a 20-25 solo occasionalmente e per poco tempo, esattamente come nella prima arena del video. Non so perché in alcune delle altre mostrate qui tutto vada così a scatti, ma ci tengo a sottolineare che è un problema che io non ho riscontrato, o comunque di sicuro non così pesantemente.)

 

Se la grafica di per sé, ovviamente, apparirà antiquata (ma comunque ben inserita nello strano contesto degli ambienti di gioco), il gameplay di MoHo è, proprio per l’originalità assoluta e l’estrema immediatezza, più che vivo e appetibile ancora oggi. Per scrivere questo articolo mi sono rigiocato buona parte del gioco sulla mia PS3, e devo dire che anche mettendo da parte ricordi d’infanzia e tutto il resto mi sono sinceramente divertito nel farlo.

Se forse all’epoca era addirittura troppo insolito per essere davvero apprezzabile da tutti, oggi MoHo è un passatempo ottimo che offre varietà, un equo livello di sfida e svariate ore di impegno videoludico vecchio stile.

Ovviamente, quindi, è irreperibile digitalmente, sia per PlayStation che per PC. Come dico spesso, occhio alle bancarelle, perché 3 euro spesi per una copia per PS1 di MoHo sarebbero di sicuro 3 euro spesi molto bene.

Lorenzo Forini
Sono nato a Bologna nel 1993, videogioco da sempre, e da sempre mi ha affascinato l'idea di andare oltre al solo giocare, di cercare di capire cosa c'è nascosto in ogni titolo dietro al sipario più immediato da cogliere. Se i videogiochi sono una forma d'arte, forse è il caso di iniziare a studiarli davvero come tali.

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