GameBack

“Vae Victis – guai ai vinti. Ironico che ci fossi io lì a soffrire.”

Benvenuti in questo speciale natalizio targato GameBack. Dal 1° al 24 dicembre, come se fosse una sorta di “calendario dell’avvento”, pubblicheremo ogni due giorni una puntata di questa piccola rubrica,  in cui ogni redattore di GameBack, a turno, parlerà del “videogioco che gli ha cambiato la vita” e ha acceso in lui la passione per l’arte videoludica.
Vi ricordiamo, inoltre, di lasciare un commento inerente all’articolo, in modo da poter partecipare al contest natalizio che stiamo organizzando sulla nostra pagina Facebook e la nostra stanza su Ludomedia (le regole del contest si trovano sul sito).

Nella comunità di videogiocatori di oggi mi sento un po’ a metà strada tra due poli molto estremizzati, ognuno a modo proprio: i veterani rimasti ancora attivi nel settore, che sanno di cosa si parla fin dagli anni ’80 (se non da prima), e le tantissime nuove leve, che hanno preso per la prima volta in mano un pad o un mouse per giocare comunque da molto meno di me, e che non riescono neanche a immaginarsi un mondo senza Call of Duty o Assassin’s Creed (e anche senza Facebook, ma qui credo andrei troppo fuori tema). Spero di saper trasmettere con questo post un altrettanto originale punto di vista su cosa sono i videogiochi per ciascuno di noi.

Mi è stato chiesto di parlare di un gioco importante per la mia formazione videoludica ed è quello che intendo fare, anzi, parlerò di un’intera saga. Ma prima di cominciare voglio precisare che anche se il tema dell’articolo di oggi sarà Legacy of Kain la mia non è stata una vera e propria “rivelazione”, quanto piuttosto l’assimilazione contemporanea di tutto un universo, quello dei videogiochi di quell’epoca storica, per certi versi tra l’altro meno disomogeneo di quello di oggi. Insomma, voglio si sappia che anche se colloco questa stupenda saga un gradino sopra tutto il resto della mia libreria non per questo voglio assolutamente sminuire gli altri titoli che ci sono in essa.

 

Legacy of Kain: Defiance (2004)

 

I miei primi videogiochi sono stati su PC, sul portatile di lavoro di mio padre (che per inciso è ingegnere elettronico, quindi capiva perfettamente cosa ci faceva lui e ci facevo io). Già allora capivo il potenziale massimo del mondo dei videogiochi grazie ad alcuni capolavori indimenticabili – primo su tutti Doom – che ho avuto la fortuna di provare fin da giovanissimo, ma non mi sono mai accontentato di cercare il migliore del mucchio e buttare via tutto il resto. Insomma, penso si potrebbe dire che la varietà è sempre stata una cosa fondamentale per me, anche all’interno dello stesso genere (credete che Wolfenstein 3D, Doom, Heretic ed Hexen siano troppi per una sola infanzia? Beh, vi sbagliate).

Il “salto”, comunque, è stato indiscutibilmente con PlayStation 2. Una sorta di sogno avverato: una macchina facilissima e comodissima da usare, con una quantità spaventosa di giochi e senza nessuno dei problemi che curiosamente già mi ero reso conto esistevano su PC (il computer non è abbastanza potente, il gioco gira male, non c’è spazio sull’hard disk…). Dato che io e d’altra parte quasi tutta la mia generazione per la grafica un po’ migliore o un po’ peggiore non abbiamo mai fatto un dramma è stato facile non solo dire addio – momentaneamente – ai giochi su PC, ma anche apprezzare tutto il catalogo PlayStation 1, perfettamente funzionante anche su PlayStation 2 e su cui io e i miei amici non facevamo certo tanto gli schizzinosi.

Non sono mai stato uno di quei ragazzi che compravano e giocavano una marea di giochi (un mio amico è così… ora li trasporta letteralmente in scatoloni), ma allo stesso tempo ne ho avuti di sicuro più della media. Insomma, cercavo di spremere quello che avevo senza trovarmi con così poca roba da dover giocare fino alla follia qualcosa che non mi piacesse veramente tanto solo perché non avevo alternative. Credo che col senno di poi questa specie di bilanciamento tra i due estremi mi abbia aiutato ad apprezzare i giochi con un proprio valore, anche se non sono dei capolavori, e allo stesso tempo mi abbia dato una visione d’insieme abbastanza ampia da capire cosa fa troppo schifo per essere perdonabile. Tutta fortuna, dunque.

Passando a Legacy of Kain…

 

La mappa del mondo di Blood Omen (1996) tradotta in italiano da… me.

 

Tutto è cominciato per caso, con un disco demo per PS2. Tra gli altri titoli c’era una versione da neanche cinque minuti di Soul Reaver 2. Era un gioco che capivo poco, e soprattutto non avevo la più pallida idea dei temi che trattava e di come si sviluppasse tutta l’avventura, ma quel pochissimo di gameplay e di atmosfera che vedevo era sufficiente a convincermi che mi sarebbe piaciuto.

D’altra parte Soul Reaver 2 non era ancora uscito; poco male, visto che c’era Soul Reaver 1, che ebbi la fortuna di trovare usato al primo colpo in un piccolo negozio non troppo lontano da casa mia e che mi fece definitivamente capire l’enormità di quello che avevo tra le mani. Faccio notare che avevo circa 7 anni – non per vantarmi di essere un bambino prodigio, ma per sottolineare quale fosse il potere dell’atmosfera che quella saga sprigionava.

Soul Reaver era un gioco che trovavo fantastico, ma era dannatamente difficile, soprattutto per un bambino, al punto che non riuscivo neanche a raggiungere il primo boss, Melchiah (non che avessi idea che era quello che dovevo fare). Il fatto che fosse un open-world, d’altra parte, e che avevo trovato su una rivista un trucco per sbloccare tutte le abilità di Raziel – e quindi tutte le zone del mondo – mi permetteva di esplorare liberamente tutto quello che volevo, scoprendo zone inaspettate ogni volta.

Intanto, Soul Reaver 2 uscì. Era decisamente all’altezza delle mie aspettative, ma non per questo era più facile del primo. Ci misi un mese (giocando anche ad altro nel frattempo, sia chiaro) solo per uscire dalla Fortezza Sarafan e raggiungere il primo punto di salvataggio, essendo per giunta “costretto” tutte le volte a guardare i 10-15 minuti complessivi di filmati prima di esso.

Passati un paio d’anni ancora avevo fatto più esperienza coi videogiochi, e cominciai a capire come muovermi in entrambi i Soul Reaver. Nel primo arrivai con pazienza fino ad affrontare Rahab, poi visto che non capivo come eliminarlo e sapendo mancava un unico altro boss prima del finale usai di nuovo il trucco dei poteri per raggiungere la zona di Dumah e giocarla tutta, vampiro compreso. Mi sono guardato ovviamente i restanti filmati su internet più avanti, ma io di fatto non sono mai andato oltre quel punto giocando, più che altro perché ce l’avevo data su.

Finii invece tutto Soul Reaver 2, e poi Blood Omen 2 e Defiance man mano che uscirono. Non ho mai avuto il primo Blood Omen per PlayStation e ho avuto modo di giocarlo solo molto più di recente; col senno di poi probabilmente ci avrei fatto ancora meno strada che in Soul Reaver, comunque.

 

Artwork di Daniel Cabuco per il Raziel vampiro di Soul Reaver (1999)

 

Non saprei se Legacy of Kain è la saga che quando avevo sugli 11-12 anni mi piaceva di più, ma di sicuro è quella che di più mi è rimasta, e l’unica che col passare del tempo, quando tutti gli altri vecchi giochi perdevano man mano di fascino, ne acquisiva. Gli ultimi anni prima di prendere una PlayStation 3 mi sono rigiocato Soul Reaver 2, Blood Omen 2 e Defiance più e più volte, apprezzandoli ad ogni singolo giro; non per la storia, per il gameplay o per qualcos’altro di preciso, ma per tutto l’insieme. Blood Omen a parte, che come ho già detto ho giocato su PC solo molto più di recente, non ho più toccato nessuno di quei giochi da allora. Non ne avevo più bisogno. Smettere di lanciare quei 3 DVD e 1 CD con la PlayStation 2 non mi ha certo fatto dimenticare cosa e come erano. Tutto si è solo trasposto nella mia mente, probabilmente per sempre.

Per me non è qualcosa di immediato da ricondurre alla domanda “il tuo gioco preferito”. Ho sicuramente provato gameplay che ho apprezzato di più, e altrettanto di sicuro ho assistito a giochi che ho trovato più coinvolgenti emotivamente. Non mi esalto con un amico ricondando insieme quanto era bello giocarci, e non mi commuovo pensando alla storia che ha da raccontare. Non è qualcosa che sento il bisogno di sbandierare con forza, ma è pur sempre lì, immobile.

Credo che Legacy of Kain vinca il primo premio per il suo essere unico oltre quanto ci si immaginerebbe un gioco possa essere e allo stesso tempo riuscire a rimanere pacato, “naturale”, come se quello che mostra fosse la cosa più normale del mondo. Credo che la ragione di questa scelta, e di questi ricordi, sia perché Legacy of Kain è l’unica saga che è riuscito davvero a farmi entrare in un altro mondo, in un senso molto più profondo di quello che si assegna di solito a questa espressione e che faccio davvero fatica a spiegare. È stata come una lenta, infinita apertura mentale, non guidata dall’alto più del necessario ma sempre abbastanza stimolante da non volerla abbandonare a metà. Assimilare Legacy of Kain è stato molto, molto più lungo del tempo per cui ci ho giocato, e questo è qualcosa che non potrei dire di nient’altro in ambito videoludico.

Credo sia per questo. Ma che il primo premio sia suo, su quello non ho nessun dubbio.

 

Wallpaper promozionale per Soul Reaver 2 (2001)

 

Come avrete notato non ho detto virtualmente nulla sul merito dei giochi: non avrei lo spazio neppure per cominciare, quindi preferisco lasciare perdere e basta. Se ci tenete ad approfondire, leggetevi una delle diverse trascrizioni online dei dialoghi, o magari date un’occhiata a quello che ho scritto io stesso a riguardo, o meglio ancora procuratevi i giochi, digitalmente in inglese o meglio ancora fisicamente in italiano, e giocateli da voi.

Se la vostra mente è pronta a farsi coinvolgere a qualsiasi livello, prometto che non ve ne pentirete.