Guai a riprendere qualsiasi cosa da qualsiasi gioco mai esistito

Guai a riprendere qualsiasi cosa da qualsiasi gioco mai esistito

– Videogiochi e internet, istruzioni per l’uso. Parte 2.
– Videogiochi e internet, istruzioni per l’uso. Parte 3.
– Videogiochi e internet, istruzioni per l’uso. Parte 4.
Videogiochi e internet, istruzioni per l’uso. Parte 5.

È giovedì notte. O forse dovrei dire venerdì mattina, stando all’orologio di Windows. Non so quando finirò di scrivere questo articolo, ma voglio che sappiate quando ho cominciato, o meglio perché.

Lo sto facendo perché sono disperato. Sono veramente, profondamente, disperato per quello che leggo in giro su internet. No, non sto parlando di opinioni esagerate, non sto parlando di maleducazione, non sto parlando di litigi inutili. Sto parlando di una letale combinazione di pura ignoranza ed esagerata presunzione. Mi sono appena reso conto che non sappiamo neanche più cosa sono i generi di videogiochi.

 

Lo so che voi che ora state leggendo molto probabilmente sapete “cosa sono i generi”; ma siete più informati non dico del giocatore medio, ma anche del giocatore internauta medio, o almeno di quello che gira per YouTube, Yahoo, persino Steam, e siti simili, e sono davvero, davvero in tanti. La questione che vorrei sollevare, in ogni caso, è più profonda di una pura definizione, è sostanzialmente culturale, ed è quello l’aspetto secondo me più grave.

Questa è una guerra che non credo di poter vincere, né su questo tema né su altri futuri. Ma non significa che non proverò comunque a combattere.

 

doom

Doom, spudorato ripoff di Wolfenstein 3D.

 

Definire i giochi per generi sembra(va) la soluzione più intelligente. È una soluzione di comodo, perché permette con un unico termine noto a tutti di farsi una vaga idea di come funziona qualcosa. È il passo minimo nella descrizione, ed è di per sé incompleto e se vogliamo fuorviante, perché si limita ad inquadrare un'”idea” di fondo, che andrebbe espansa molto di più per essere davvero esaustiva.

È un’etichetta forse stupida, probabilmente da rivedere alla radice, sicuramente non necessaria, ma è sempre stata usata ed accettata. Ebbene, credo siamo arrivati al punto in cui il giocatore medio non usa neppure più le etichette per orientarsi, va a nomi di giochi. Con conseguenze DEVASTANTI.

 

Il principio che vorrei mettere in evidenza è che il genere, nel 99,99% dei casi, è a monte di qualunque gioco che ne fa parte. Alcuni generi sono più identificabili di altri, alcuni hanno molti più titoli ad essi annoverabili, ma qualunque sia la circostanza ragionare per generi fa partire dal presupposto, storicamente corretto, che nessun gioco salta fuori senza dovere niente a qualche gioco venuto prima.

Se chiamo Call of Duty un FPS è una definizione impeccabile; è decisamente incompleta, ma è impeccabile. Se chiamo Battlefield un FPS è altrettanto impeccabile. Questo sistema funziona perché non fa assunzioni implicite, definisce solo le cose come stanno, per quanto vagamente.

Se inizio a chiamare Battlefield una copia di Call of Duty o Call of Duty una copia di Battlefield, lì arrivano dei problemi gravi. Ormai non vedo altro in giro, e la cosa mi spaventa: il videogiocatore medio non ha solo una “memoria” che difficilmente va indietro di più di un paio d’anni, ma anche la veduta dell’orizzonte di un treno che entra in una galleria.

 

the witcher

The Witcher, scandalosa copia di Neverwinter Nighs.

 

Quando un gioco è molto famoso e di successo verrà guardato da altre parti dell’industria e verrà imitato, quando non addirittura copiato platealmente in parte o del tutto. Questo è normale, e succede da sempre: è così che nascono i generi.

 

Se qualcuno nel 1993 ha pubblicato un gioco che si chiamava Doom è perché quello stesso qualcuno aveva già lavorato e fatto pratica con gli ambienti 3D in Catacombs 3D e Wolfenstein 3D. Quando Doom è uscito il suo successo è stato enorme, e per questa ragione moltissimi altri giochi ne hanno tratto ispirazione. Alcuni erano palesemente incompetenti e semplicemente brutti, e sono stati dimenticati o vengono ricordati come tali (diciamo un Isle of the Dead, anche se penso sia più corretto dire dei due che imitava Wolfenstein 3D, se non altro per ragioni temporali); altri erano belli, e come tali sono stati ricordati (Heretic, Duke Nukem, Blood).

Notate un piccolo dettaglio in questo riassunto? Non importa a nessuno, 20 anni dopo, quanto col contagocce andiamo a misurare la “copia” di questi giochi rispetto ai precedenti, in particolare a Doom. Conta se erano bei giochi o brutti giochi.

Isle of the Dead è a mani basse il più innovativo dei quattro che ho nominato, ma era a malapena sostenibile fino alla fine allora, non parliamone oggi. Heretic, se non sapessimo che fu approvato e realizzato con l’engine di id Software, sarebbe sulla soglia del plagio, tanto replicava al meglio possibile tutte le meccaniche di Doom. Duke Nukem è già di una “terza generazione” di FPS arcaici (in questa mia suddivisione la prima sarebbe quella pre-id Software, mentre la terza è la stessa ad esempio anche di Shadow Warrior), ma è ancora sostanzialmente Doom con delle aggiunte e degli elementi per movimentare le cose. Blood è forse più Doom che Duke Nukem, ma riprende un po’ di entrambi, e fa un lavoro eccellente, soprattutto avvantaggiandosi della maggiore potenza raggiunta dai PC per amplificare a livelli prima impossibili la spettacolarità delle uccisioni e degli ambienti.

 

Copiare un gioco non è come copiare un compito di matematica – devi copiarlo BENE, o la differenza si vede. Heretic copiava Doom superbamente, e il risultato è palese. Isle of the Dead copiava Doom/Wolfenstein/Catacomb senza capirne i principi, e il risultato è un gioco scomodo, artificialmente legnoso e in sostanza non divertente in quanto FPS, anche lasciando da parte i problemi suoi personali di design legati alla struttura della partita.

Se Call of Duty fa delle cose fatte bene – e ne fa diverse – il fatto che altri giochi lo copino non può essere un problema, è il naturale andamento delle cose. Il punto sta in come e quanto bene i suddetti giochi lo copiano (e, lasciatemelo dire, spesso la risposta è “molto male”).

 

gears of war

Gears of War, noto per aver rubato il sistema di coperture di Kill.Switch.

 

Ma questa è la conclusione a cui posso arrivare io, da persona che ha giocato un gran numero di FPS di ogni epoca e che li chiama appunto tutti quanti “FPS”. Se chiedete al primo che passa su YouTube o qualche sito aggregatore simile come definirebbe Medal of Honor: Warfighter, Killzone: Shadow Fall o persino il recentissimo Wolfenstein: The New Order, le probabilità vogliono che la risposta sia “call of duty clone“, o alternativamente “halo clone.

Nell’età di internet e dell’informazione questo non è concepibile. Dovremmo diventare più informati, non meno che in passato. Ok, va bene, se nel 1997 sapevo cos’era un FPS significa che compravo delle riviste specializzate di videogiochi, e questo come passione per l’argomento mi mette al di sopra dell'”utente medio di YouTube”, ma non dovremmo essere noi che sappiamo le cose ad informare gli altri? Come siamo arrivati al punto in cui se entri oggi nell’ambiente è più probabile venire accolti dalla rampante ignoranza di persone poco interessate che dalle conoscenze degli appassionati?

Come dicevo prima, questo è il principio, ed è qui che risiede il problema, non nel caso singolo. È perfettamente comprensibile che la visione videoludica di un 14enne sia “gioco in cui spari in prima persona = call of duty/halo”, non è questo a stupirmi. Mi stupisce come ormai nessuno sembri opporsi a questa visione della cosa, e ancora di più come lo stesso avvenga per generi tutt’altro che streamlined.

 

Un tempo c’era una cosa chiamata RPG, nata come gioco da tavolo e diventata i giochi di oggi attraverso una complicatissima e lunghissima catena di lente modificazioni. Non la conosci tutta nel dettagio? È assolutamente ok. Non sai che esiste? Mi stupisco un po’. Non riesci neanche a immaginare che possa esistere? Questo è un problema.

Tra l’altro, il ramo degli RPG in particolare è uno dei più variegati e confusi di tutti, quindi è ancora più comico vedere la gente cercare di catalogare a forza tutto come “clone”, o meno gentilmente ripoff, di uno tra Skyrim, The Witcher, Dragon Age e Dark Souls, cioè i 4 nomi sulle bocche di tutti e probabilmente gli unici RPG che molti internauti hanno mai giocato. Lords of the Fallen è un clone di Dark Souls, ovviamente, e in quanto tale sarà automaticamente “mediocre”; logica stringente. Ho sentito qualcuno dire persino che Bound by Flame sarebbe un clone di Dark Souls, immagino perché… si combatte con un sistema di combattimenti a vederlo un po’ legnoso?

La cosa strana non è, come dicevo prima, che non si conoscano le evoluzioni dei generi, ma che non si accetti l’idea stessa di genere. Cos’è Skyrim, se non la (seconda) “copia” di The Elder Scrolls III: Morrowind? Cos’è Dragon Age, se non la “copia” di Baldur’s Gate? Cos’è The Witcher, se non la “copia” di Neverwinter Nights (per quanto riguarda la macro-struttura di entrambi i capitoli) con attaccato sopra un sistema di combattimento da MMO leggermente più dinamico (The Witcher 1) o quello di qualsiasi action in stile Prince of Persia (The Witcher 2)? E cosa sarà The Witcher 3, se non la “copia” di Gothic?

 

god of war

God of War, banalizzazione di Devil May Cry.

 

Chiamare un gioco “la copia” di un altro gioco che è piaciuto dovrebbe essere positivo, non negativo: si sa che c’è una base solida per il gameplay, un gameplay che piace e funziona, su cui si può costruire per variarlo, migliorarlo ulteriormente, fare delle aggiunte esterne che possono rendere migliore il titolo nel complesso.

Se mi piace un gioco dovrei essere felice che venga “copiato”, anzi, dovrei augurarmi che venga copiato bene, perché significa che ci sarà un bel gioco in più nel mondo.

 

Condannare a prescindere tutto ciò che non si presenta al 100% come innotavito, o peggio, che non si presenta DI FACCIATA al 100% come innovativo, è uno dei pericoli maggiori che possiamo correre, perché rischia, nel caso teorico in cui lo si spinga all’estremo, il collasso dei videogiochi per come esistono da trent’anni buoni a questa parte.

E non provate neanche ad iniziare a parlarmi di indie, perché quello è l’esempio più chiaro di quello che sto dicendo qui: prendere un concetto già consolidato e costruirci sopra delle variazioni. Il fatto che vi vengano sventolate davanti alla faccia le sole innovazioni, nascondendo sotto il tappeto tutto il resto, non cambia la sostanza. I platform minimali 2D li hanno inventati a cavallo tra anni ’70 e ’80, smettiamola di fare gli ipocriti.

 

I videogiochi hanno bisogno di una storia, con la S maiuscola, alle spalle, perché sono dannatamente difficili da costruire, non si può sempre chiedere sia l’originalità assoluta che la perfezione: o una o l’altra, e delle due prenderei la seconda, grazie.

Fare finta che tutto quello che non è “nuovo” sia automaticamente “sbagliato” è un atteggiamento inutile ed autolesionista. Significa non saper neanche andare oltre l’apprezzamento di più di un titolo, a cui ci si attacca e si cerca di smontare tutto quello che potrebbe potenzialmente configurarsi come suo “successore” migliore, e se devo essere sincero andare avanti su questa linea non può che rafforzare il fenomeno di serializzazione che lo stesso “giocatore medio” non fa che condannare ad ogni occasione.

Se, per qualche motivo che elude la mia mente forse troppo pragmatica, non “vuoi” altri Assassin’s Creed, andare in giro a definire ripoff tutto quello che vagamente assomiglia a qualcos’altro è giusto un po’ controproducente. Le innovazioni passano per la parziale copia, non arrivano quasi mai dal nulla, e anche quando arrivano non funzionano altrettanto bene, quindi inizia a sperare che Shadow of Mordor venda parecchio, non definirlo “assassin’s creed ripoff” per poi subito dopo prendertela con Assassin’s Creed perché ne esce uno all’anno, e poi magari applicare lo stesso procedimento che suona tanto figo sulla carta a tutte le altre serie che conosci. A meno ovviamente che il tuo scopo non sia la scomparsa dei videogiochi in toto – nel qual caso, mi spiace dirtelo, hai palesemente sbagliato hobby.

 

half-life

Half-Life, clone lineare e scriptato di Quake.

 

Per concludere: come tutte le forme di vita in natura (scusatemi, creazionisti), i videogiochi si evolvono basandosi sui modelli vincenti. Questi filoni evolutivi spontanei si chiamano “generi”, ed è dannatamente importante almeno accettare l’idea che è normale e giusto che le cose funzionino in questo modo.

È l’unico modo in cui può funzionare. Non è un crimine, non è eticamente scorretto, non è perché qualcuno vuole fregarvi: è così da ben prima che arrivassero molti di voi a dire la loro, e tutti ne siamo sempre stati assolutamente felici.

 

Bisogna uscire dalla mentalità restrittiva del semplice “meglio” e “peggio”, che ci sia un gioco “superiore” che può accampare diritti su quelli “inferiori”. Le persone hanno gusti diversi, e i diversi giochi che traggono ispirazione da modelli unici (e che lo fanno bene) avranno il risultato di essere apprezzati da persone diverse, pur condividendo qualcosa. Heretic non è la copia di Doom, è Doom per chi ama le tematiche fantasy più di quelle militari. Se sia Doom che Heretic esistono abbiamo fatto contente due persone su due, e nessuno ha perso niente, di sicuro non chi ha il gioco con cui si diverte.

Perché si usino i punti in comune per creare graduatorie, invece che per cercare un’accomunazione, sfugge alla mia logica. Magari è perché non ho 13 anni da troppo tempo, o magari perché non ho mai provato l’ebbrezza di prendermi qualche pollice in su per aver detto una cosa estremamente grossolana e fuorviante, ma tanto da tipo tosto.

 

 

Per oggi non credo di dover dire altro; chi ha orecchie per intendere intenda. Non so quando arriverà la prossima puntata di questa serie, ma visto quello che leggo in giro non penso ci vorrà molto.

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Videogiochi e internet, istruzioni per l’uso. Parte 5.

Lorenzo Forini
Sono nato a Bologna nel 1993, videogioco da sempre, e da sempre mi ha affascinato l'idea di andare oltre al solo giocare, di cercare di capire cosa c'è nascosto in ogni titolo dietro al sipario più immediato da cogliere. Se i videogiochi sono una forma d'arte, forse è il caso di iniziare a studiarli davvero come tali.

5 Responses to “Videogiochi e internet, istruzioni per l’uso. Parte 1: esistono dei generi”

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