– Videogiochi e internet, istruzioni per l’uso. Parte 1.
– Videogiochi e internet, istruzioni per l’uso. Parte 2.
– Videogiochi e internet, istruzioni per l’uso. Parte 3.
– Videogiochi e internet, istruzioni per l’uso. Parte 4.
Santo cielo, che macello.
Se siete videogiocatori “sobri”, ovvero vi limitate a cercare su internet, soprattutto su siti italiani, informazioni su dei videogiochi, immagino che se vi dico la parola “Quinnspiracy” non abbiate la più pallida idea di cosa stia parlando.
Forse qualcuno ricorderà l’ultima puntata di questa serie, in cui avevo cercato di discutere il perché su internet è facile assistere a teorie trasformarsi in fatti e viceversa senza più possibilità di distinguere cosa ha senso e cosa no. Vi ricorderete anche che mi ero promesso di non scrivere più nuovi episodi, per la semplice ragione che una volta toccato il tema alla base di tutti gli altri non avrebbe più avuto senso cercare di smontare tutti i singoli casi.
Ecco, ho deciso che era necessaria una quinta puntata per la semplice ragione che… il lato internazionale del mondo videoludico “hardcore” sta venendo scosso dal terremoto più grosso che abbia mai visto, benché tenuto sotto silenzio dalla stampa per ragioni a cui arriveremo più avanti. Credo sia un’ottima occasione non solo per informarvi rapidamente di cosa stia effettivamente succedendo sotto i vostri piedi, ma anche un’imperdibile opportunità di fare riflessioni inedite sul livello che abbiamo purtroppo raggiunto.
Beh, iniziamo dall’inizio.
La storia fino a una settimana fa
Nel 2013 viene approvato su Steam Greenlight un titolo chiamato Depression Quest, una specie di “avventura” testuale creata dall’ignota Zoe Quinn, una ragazza americana. Subito il gioco non riceve molta attenzione, ma ha un boom di popolarità e supporto quando la realizzatrice afferma di essere stata vittima di attacchi, offese e addirittura telefonate di maniaci, perché a quanto pare ad alcuni utenti di un sito per soli uomini vergini chiamato Wizardchan dava fastidio che una donna potesse creare un gioco sulla depressione.
Contro gli attacchi, riportati dalla stessa Quinn su Twitter, si schierano svariati giornali e gruppi, più o meno dichiaratamente impegnati nella battaglia “femminista” di internet di cui ho già parlato. Siamo a metà dicembre 2013, e questa è, che io sappia, la prima volta in cui il nome di Zoe Quinn riceve ha un minimo di popolarità.
Nel giro di un paio di mesi il gioco viene dimenticato e così la sua creatrice, almeno sui media standard, ricomparendo magari di sfuggita in qua e là come esempio del sessismo dell’industria e altri articoli simili.
La storia oggi
Un sito chiamato thezoepost viene aperto il 16 agosto 2014, e ci viene pubblicato un lunghissimo articolo in cui sono documentate le scappatelle sentimentali di Zoe Quinn. A scriverlo è nientemeno che il suo ex ragazzo, cioè la persona che Zoe avrebbe tradito ripetutamente con altri uomini, che la descrive come una persona infida e profittatrice.
Tutto questo attira una minima attenzione, perché l’immagine che ne esce di Zoe Quinn è ben diversa da quella della povera vittima del sessismo a cui internet la aveva elevata. Ma siamo ancora totalmente nello spettro del puro pettegolezzo. Apparentemente.
Il fatto è che, dei cinque uomini con cui Zoe ha tradito il fidanzato, uno è un giornalista videoludico, tale Nathan Grayson, che scrive per Kotaku e per Rock, Paper, Shotgun. Uno YouTuber poco noto (prima di questi fatti), di nome MundaneMatt, pubblica un video in cui parla di tutta la vicenda.
MundaneMatt precisa che Nathan stesso non ha promosso particolarmente Zoe (i nomi di Zoe e del suo gioco appaiono in soli due articoli scritti da lui, ed entrambi trattano altro e li citano di sfuggita e perché legati effettivamente ai fatti in questione), ma lo spinge a farsi delle domande più generali sull’industria videoludica e sul giornalismo online. Zoe, e altri come lei, vengono consapevolmente dipinti per qualcosa che non sono e assurti a simboli positivi da dare in pasto al pubblico, quando magari le stesse persone che scrivono quegli articoli conoscono storie ben diverse o sono invischiati loro stessi in esse? Con che faccia persone tipo Nathan Grayson possono poi accusare parte della comunità videoludica di sessismo e maschilismo per mettere a tacere le voci contrarie alla costruzione dell’immagine immacolata delle suddette persone? E perché nessun giornale parla di questa vicenda, creando una sorta di cupola di omertà?
Devo dire che mi trovo in linea di massima d’accordo col discorso fatto da MundaneMatt, che parla di “industria incestuosa” per via dei rapporti più stretti tra informatori e produttori che tra informatori e pubblico. Ma ancora la situazione non è troppo grave.
La cosa si fa invece terribilmente seria, dal mio punto di vista, quando il video di MundaneMatt viene cancellato da YouTube. Il motivo? Violazione di copyright ai danni di Zoe Quinn, perché nel video è presente un’istantanea di Depression Quest e il filmato infrangerebbe quindi il diritto d’autore. Il link che ho messo prima è una seconda versione ri-caricata del video senza più l’immagine in questione.
Ma se con questo reclamo, evidentemente pretestuoso, Zoe Quinn sperava di limitare le pessime voci sul suo conto, ha realizzato l’Epic Fail del secolo. Un altro canale YouTube, chiamato InternetAristocrat, coglie al volo l’occasione è pubblica un video su tutta la vicenda, ma ci va giù molto, molto più pesante di MundaneMatt.
Oltre a citare questa censura tramite copyright, si mostra come gli “attacchi” che diedero a Zoe il primo slancio di visibilità sono in realtà virtualmente inesistenti e in parte probabilmente inventati da lei stessa per mettersi in mostra, si fa un lungo elenco di tutte le idiozie e le sbruffonate dette da Zoe nel corso del tempo su Twitter (da cui ne emerge un personaggio di sicuro non migliore di quello già descritto dal suo fidanzato) e, come diceva mia nonna, chi più ne ha più ne metta. Il che ha dato il via ad una reazione a catena di proporzioni spaventose, ha fatto impazzire siti come 4chan e Tumblr e ha persino spinto NeoGAF (NeoGAF!) a far sfiatare la vicenda con un thread di “massima sicurezza” e poi dichiararla chiusa per sempre.
Ma InternetAristocrat si spinge anche molto oltre all’attaccare le persone coinvolte direttamente, e lì scatta la vera scintilla di tutto quello che si è visto muoversi nei giorni scorsi e che persino ora probabilmente non si è assestato.
Il caso di Zoe viene usato per dimostrare che, senza se e senza ma, tutto il giornalismo videoludico è corrotto, inganna gli utenti vendendosi le versioni che vuole di tutte le storie che conosce, non ha scrupoli etici e in sostanza va abbattuto perché ha fallito nel suo scopo di andare oltre le bugie dei mass media tradizionali (radio e televisione), diventando anch’esso un bugiardo cronico. InternetAristocrat sta, senza troppi fronzoli, invitando ad una rivolta contro i “personaggi” dell’industria attuale, “le Zoe Quinn e i Phil Fish”, che starebbero distruggendo la medesima, e con loro tutta la cupola giornalistica che dà loro voce.
La vera storia
In primo luogo bisogna per forza separare i due argomenti, pur non dimenticandoci del filo che li collega.
Sì, a meno che tutto quello che è uscito da una settimana a questa parte e che ho visto non sia un’abilissima e complicatissima falsificazione, pare proprio che Zoe Quinn sia una stronza approfittatrice e immorale che si sia fatta volutamente passare come vittima quando in realtà se non era lei carnefice poco ci mancava. Non credo sia la prima persona così che si scopra esistere, e non mi pare che il mondo videoludico sia l’unico in cui capitano situazioni di questo tipo.
E sì, è un brutto colpo per i fanatici che la continuavano e continuano tuttora a difendere a prescindere in tutto e su tutto solo perché “internet è sessista e maschilista” e lei è la povera vittima della crudeltà del mondo. Sinceramente, affari loro, se sei un fanatico devi essere pronto a scottarti, è insito nella cosa.
Ma, andando al di là di questo, i confini degli eventi si fanno molto più sfumati, e grigi. Ed è sulle zone grigie che bisognerebbe fermarsi a riflettere, non su quelle già chiaramente o bianche o nere.
I conflitti di interessi nel giornalismo
Partiamo dalla cosa più facile: Nathan Grayson. Natahn Grayson ha tutto il diritto di andare a letto con chi vuole, e ne pagherà eventualmente le conseguenze nella sua vita privata. Ma è lecito che un giornalista frequenti intimamente qualcuno che lavora nell’industria? Credo sia impossibile stabilirlo in linea di principio, bisogna guardare a quello che scrive, come nel caso di qualsiasi altra stretta relazione che un giornalista tiene nell’ambito del suo lavoro.
Caso 1: io, Lorenzo Forini, vado a letto con la rappresentante di uno studio di sviluppo, senza dirlo a nessuno, e poi scrivo articoli su articoli per elogiare i titoli di quell’azienda.
Caso 2: GameBack.it viene avvicinato da un publisher e ci vengono offerti soldi o esclusive a patto che non parliamo male di questo e quel gioco, e così facciamo, anche se avremmo delle cose negative da dire.
Caso 3: io, Lorenzo Forini, vado a letto con la rappresentante di uno studio di sviluppo. Non scrivo e scriverò mai dei suoi giochi, e se il resto di GameBack.it lo fa si mantiene imparziale e riporta sia cose positive che negative, come per tutti gli altri.
Caso 4: GameBack.it stringe un contratto con un publisher per pubblicizzare un tale gioco nella home page con banner speciali, ma non ci vengono suggerite restrizioni di nessun altro tipo, continuiamo a scrivere come normale di quello e di altri e all’uscita del gioco la recensione è bilanciata e in linea con quelle del grosso degli altri siti.
Dunque, quali casi sono da biasimare, e quali no?
Il modo in cui InternetAristocrat pone la questione è sbagliato – secondo me coscientmente – perché sposta il problema dalla sostanza dei fatti ad una strana linea di principio. “Il giornalismo” è presentato come un’unica entità coesa e senziente, quando chiaramente non lo è, e il fatto che possano esistere rapporti umani tra giornalisti e altre parti dell’industria implica per forza che questi rapporti vanno anche oltre.
Il fatto che UN giornalista sia andato a letto di nascosto con UNA sviluppatrice non solo dovrebbe, secondo loro, dimostrare a prescindere che quel giornalista e quella sviluppatrice stanno confondendo le acque su un gioco, ma che anche tutti gli altri giornalisti lo stanno facendo su tutti gli altri giochi, che è chiaramente follia pura.
Tiro al bersaglio
Chiedere la sparizione di una non meglio precisata “cupola” decretata corrotta a furor di popolo non significa niente, e ha avuto l’unico risultato pratico di smuovere un vespaio enorme di utenti – che però nel migliore dei casi non hanno mezzi per agire realmente, e nel peggiore passeranno a metodi estremi tipo hacking, stalking, minacce di morte e tutto quel bell’elenco di cose che vediamo un po’ troppo spesso riportato in qua e là relativo al gaming.
La differenza stavolta, rispetto a tutti gli altri “scandali” che mi ricordi, è che la sensazione è quella che si sia scatenata veramente una guerra, e non si tratti solo di “finto rumore” dall’alto per smuovere un po’ la base. E se qui non ce ne accorgiamo è solo perché siamo ben lontani dalle linee del fronte.
Quelle di internet però sono guerre molto particolari, perché, a differenza di quello che è spesso successo nel corso della storia, i soldati semplici sono immuni alle ferite, mentre i grandi nomi sono gli unici potenzialmente esposti.
Se, poniamo, in questo momento 50’000 persone senza niente di meglio da fare stanno “vandalizzando” video, siti e quant’altro spinti dall’ondata di rabbia (e sta succedendo: provate ad andare sulla pagina di Depression Quest su Steam, o su qualsiasi video in cui compare Zoe Quinn, anche vecchio di mesi; sono sette giorni che è incorso un bombardamento a tappeto), e altre 10’000 persone con altrettanto poco da fare si oppongono a loro contro-argomentando e in generale difendendo il giornalismo (o magari persino Zoe Quinn e le persone coinvolte direttamente), nessuno dalle due parti rischia comunque nulla. Qual è la cosa peggiore che ti può succedere? Venire insultati da qualche sconosciuto? Poco male, spegni il PC ed è tutto finito, e se non torni su quella precisa discussione nessuno da nessun’altra parte si ricorderà mai di te.
Al contrario, anche persone non direttamente coinvolte nei fatti (cioè praticamente qualunque altro giornalista o personalità videoludica di internet) che osassero scrivere qualcosa contro una o l’altra parte sarebbero un facilissimo bersaglio con nome, cognome, indirizzo, numero di telefono… E se tra quelle 60’000 persone ce ne sono anche solo 60 così fuori di testa da poter pensare di andare oltre la guerra su internet si rischia di venire messi sotto assedio personalmente, di venire tempestati di mail, di venire minacciati, di vedere propri dati privati rubati da qualche sito e pubblicati online, fino in sostanza a rendere difficile per quella persona lavorare o “vivere” su internet.
Io scrivo questo articolo perché posso permettermelo: so che il pubblico italiano è un paradiso in terra a confronto di quello internazionale, e qui, senza la “spinta” da dietro, è virtualmente impossibile che qualcuno possa davvero pensare di andare oltre al trash talking da forum. Siamo ancora persone civili.
Ma se fossi un giornalista inglese o anche solo lavorassi per un giornale inglese mi sarei fatto delle serie domande prima di premere il tasto Pubblica, e forse alla fine non lo avrei fatto proprio. E questo è decisamente un altro problema, uno a cui nessuno sembra guardare: la folla in questa situazione non ha freni, nessuno, e chi finisce per caso o per sbaglio nel mezzo ne paga le conseguenze anche se non ha colpe.
John Bain, più noto come TotalBiscuit, si è azzardato a fare un lievissimo accenno a tutta questa vicenda (vedere qui), non sbilanciandosi neanche lontanamente fino al punto in cui mi sono sbilanciato io qui e tra l’altro dando velatamente ragione alla fazione apparentemente maggioritaria, ed è stato immediatamente raggiunto su Twitter da un’orda di fanatici che lo ha assalito per giorni.
TotalBiscuit è in sostanza un giornalista, scrivere e parlare di videogiochi gli serve per vivere. Si può essere d’accordo con quello che dice o no – io stesso non ero decisamente d’accordo in almeno un’occasione – ma è una persona come tante che fa solo il proprio innocuo lavoro, ha una famiglia, ha dei figli e sta persino lottando contro il cancro da alcuni mesi a questa parte. Quale circostanza può mai giustificare che lo si minacci e lo si stalkeri personalmente (e forse persino peggio) solo perché ha espresso con calma e razionalità un’opinione su qualcosa che gli è stato chiesto e che concerne il suo lavoro?
Le vittime di questa guerra non sono i giocatori, e non sono neanche i videogiochi: sono tutti quelli che hanno il coraggio di esporsi in qualsiasi modo al di sopra della cortina di anonimato che il livello base di internet offre, perché chi invece ci sguazza dentro spesso non perde occasione per pugnalarli vigliaccamente alle spalle.
Se in questa guerra vedete da una parte “i giocatori” e dall’altra “i giornali” state sbagliando tutto. All’estremo A, che spinge la folla verso l’estremo B, c’è una personalità, in questo caso chiamata InternetAristocrat. All’estremo B, chiusi a riccio, ci sono altre personalità, cioè Zoe Quinn, Nathan Grayson e tutti i dipendenti dei giornali citati nel video (cioè principalmente Kotaku e Rock Paper Shotgun). E qualunque altra personalità si schieri apertamente ad un qualsiasi punto della linea riceverà più o meno fuoco addosso, indipendentemente da cosa dice e come.
E questo penso sia il motivo principale per cui molti dei giornali non citano neanche l’argomento, fingendo che non esista: non vogliono aprire le porte alla fiumana che si sta aggirando subito fuori il palazzo. Per una volta neppure siti che non disprezzano di fare ed essere oggetto di polemiche, come Kotaku stesso, o Polygon, hanno il coraggio di rischiare, e questa è una novità assoluta per la mia esprienza. Hanno paura che scrivendo della cosa, in qualsiasi termini, molti utenti ne divengano coscienti e finiscano trascinati nel vortice generale, trascinandoci anche il giornale stesso.
Immagino anche che molti siti italiani abbiano considerato la cosa di poca importanza strettamente videoludica – non a torto – oppure semplicemente non conoscano la vicenda, come neppure io la conoscevo prima di incappare per caso nel video di uno YouTuber che la tratta di sfuggita.
Questa è la scintilla, ma la polvere pirica da dove arriva?
Quello che mi incuriosisce di più è come un solo caso simile possa avere condotto a questa mobilitazione davvero di proporzioni mai viste prima e avvenuta nonostante il silenzio totale dei giornali, che di solito fanno partire e poi spingono questi fenomeni. Penso che il motivo sia da ricercare nel fatto che l’internet videoludico, o almeno questa sua parte, sia sempre stato una polveriera.
Principalmente la cosa è fisiologica, o comunque auto-alimentata: c’è tanta gente che è su internet apposta per fare danni di varia natura e sfogare la rabbia e la frustrazione, e ovviamente più le persone battibeccano più la tensione interna cresce. Poi, come ho già detto, la loro parte l’hanno fatta anche i giornali e le personalità più “scandalistiche” ogni volta in cui si è cercato di vendersi temi cari ai casinari fanatici solo per fare visualizzazioni.
Ma la vera causa, che io stesso ammetto di avere sempre sottovalutato e per cui ora sono così sconvolto, deve essere l’assenza di valvole di sfogo nel sistema. Quelli che credevo effettivamente periodici sfoghi, ad esempio le discussioni sulle tematiche trattate in tutti gli altri episodi della serie, erano in realtà scosse d’assestamento in previsione dell’eruzione. E dato che è impossibile capire la reale portata di quello che bolle sotto il livello di visibilità nessuno può dire con certezza che questa sia stata l’eruzione, e non a sua volta solo il preludio a qualcosa di ancora più enorme.
La gente – utenti comuni – che cerca di riportare alla calma facendo notare la banalità e piccolezza del fatto in sé ha perfettamente ragione, questa vicenda è piccola, locale e banale. Eppure è bastato un niente del genere a scatenare da una settimana migliaia di persone su tutto il web con un’aggressività senza precedenti.
Immaginatevi cosa succederebbe se un domani si scoprisse, che ne so, che il direttore di GameSpot (scelta completamente a caso, non so neanche chi sia) ha ricevuto un bonifico privato da un publisher. Non serve che sia dimostrato che è corruzione, per quello basterà un nuovo video incitatorio tipo quello che vi ho mostrato oggi: una volta che ci sono un fatto e una teoria scandalistica con un minimo collegamento su internet il primo giustifica la seconda automaticamente. Cosa diavolo succederebbe allora? Questa persona, e tutto il sito, in che situazione finirebbe?
Non sto dicendo che non si debba, in caso di errori professionali, pagare sul piano professionale, ma qui si cadrebbe molto, molto facilmente in minacce di morte, telefonate, furto di dati personali e si “spera” solo in quello – ieri abbiamo avuto il primo allarme bomba su un aereo come forma di intimidazione ad un membro dell’industria videoludica da parte di qualcuno su internet.
Insomma, la comunità videoludica inglese sta andando serenamente verso una situazione in cui, soprattutto se si è un minimo noti e appena un po’ odiati, per avere espresso un’opinione o anche solo essere stati additati dalla persona sbagliata al momento sbagliato si rischiano seriamente privacy e probabilmente lavoro, e ho paura che non siamo così lontani dal momento in cui si rischierà anche la vita (in America), e più ci avvicineremo a quella soglia più sarà facile che tutto il castello di carte si sfaldi, perché nessuno vorrà ovviamente più correre rischi simili per scrivere di videogiochi.
Quello che succederà allora non so dirlo, non so neanche immaginarlo, ma inizio a credere anch’io che fra non troppo ci sarà un “crack” nel mondo videoludico, come più di un utente pensa per svariati motivi. La differenza è che il mio non avverrà nel mercato reale, un ambiente perfettamente in equilibrio e sereno, ma nei meandri più oscuri dello stesso internet, che genera crepe su crepe e poi le proietta sul mondo reale per non doverci fare i conti.
Non ho la minima idea di cosa si dovrebbe fare o dire arrivati a questo punto. Capisco che molti di voi, senza esserci “dentro”, non capiscano come quello che scrivono delle persone ignote possa turbarmi tanto, ma l’aria che oggi ho respirato su YouTube, Twitter e Steam in pagine legate a questi argomenti è davvero qualcosa che non avevo mai visto prima, non so se e quando le cose torneranno alla normalità e non ho idea di quando potrebbe succedere di nuovo.
Ringrazio solo di trovarmi, almeno per il momento, su una sponda ben più sicura, dove ho modo di lavorare con serenità. Posso solo augurarmi che chi oggi scatena la folla contro qualcuno capisca che se la ritroverà a sua volta addosso un domani per mano di qualcun altro, e che quindi invece che approfittarsi del momento favorevole la smetta con questo gioco al massacro. Non accadrà, ma che devo dire.
Questa volta la serie è finita davvero, non per una scelta ragionata ma per ribrezzo. Io non voglio più avere niente a che fare con questo schifo, neanche per sbaglio.