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Yokoi, l’ingegnere leggendario

Un tributo a distanza di 15 anni dalla scomparsa

Oggi vorremmo parlarvi di un uomo che giocò un ruolo di prima importanza nella storia dei videogiochi: Gunpei Yokoi.

Nato a Kyoto il 10 settembre 1941, anziché seguire le orme del padre, direttore di un’industria farmaceutica, decise di laurearsi in ingegneria elettronica all’università di Doshisha.
Nel 1965 firmò il suo primo contratto con quella che allora era chiamata Nintendo Playing Card Company, diventando supervisore alla catena di montaggio delle Hanafuda, carte da gioco plastificate. La sua scelta fu principalmente dovuta alla vicinanza del luogo di lavoro alla propria abitazione.

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Ma una mente vulcanica come quella di Yokoi non poteva certo starsene tranquilla…
Ben presto il neo-impiegato iniziò a creare, per puro divertimento, alcuni giocattoli e gadget nel suo tempo libero.
Poco dopo le Olimpiadi di Tokyo del 1964 il mercato delle carte da gioco crollò, spingendo l’allora presidente di Nintendo, Hiroshi Yamauchi, a prendere delle contromisure per tentare di far sopravvivere l’azienda di famiglia.
Fu così che Nintendo tentò le più diverse strade, una dopo l’altra: passò dall’occuparsi di un servizio taxi ad una catena di “love hotels”, si trasformò da rete televisiva ad un’impresa alimentare. Ma nessuno di questi tentativi riuscì veramente a risollevare le sorti di Nintendo; solo la produzione di alcuni giocattoli aveva dato qualche risultato. Yamauchi, in vista del periodo natalizio del 1969, chiese a Yokoi di inventare qualche nuovo giocattolo da immettere sul mercato. Il geniale impiegato se ne uscì allora con l’Ultra Hand, una sorta di braccio estendibile in grado di afferrare oggetti. I risultati furono sensazionali: le vendite superarono addirittura il milione di pezzi, e Gunpei venne promosso al reparto di ricerca e sviluppo, producendo, uno dopo l’altro, una serie di indiscussi successi. Tra i più famosi Ultra Machine, Ten Billion Barrel, Love Tester, Chiritori, Ele-conga, Ultra Scope e Beam Gun (antesignana della Zapper e, sì, anche del Wii Remote, in un certo senso).

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Gli ottimi esiti portarono alla nascita del famoso R&D1, il reparto di ricerca e sviluppo capitanato da Yokoi.

Ma i tempi stavano cambiando: dopo i positivi riscontri ottenuti da Pong negli Stati Uniti, Yamauchi decise che anche per l’azienda di Kyoto era giunto il momento di lanciarsi nel futuro, nello sviluppo di videogiochi.
Ancora una volta, Yokoi salvò la situazione. Un giorno, sul treno, vide un signore giochicchiare con una calcolatrice, schiacciando tasti qua e là e osservando divertito lo schermo. Fu proprio questa l’idea che condusse allo sviluppo del primo videogioco portatile: Ball.

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Presto a questo seguirono altri esemplari (59 in tutto, con un totale di unità vendute superiore ai 40 milioni), tutti raggruppati sotto l’etichetta Game and Watch: una serie di console portatili, ciascuna in grado di riprodurre un solo gioco e dotata di uno schermo LCD (o a volte due) ciascuno recante una scena diversa. L’esigenza della portabilità condusse inoltre Yokoi a impiegare, per la prima volta nella storia dei videogiochi, un D-Pad (o croce direzionale), che da allora fino ai giorni nostri ha fatto la sua comparsa su praticamente ogni console del pianeta.
Yokoi si concentrò anche sul rapporto prezzo-qualità, che sempre poi distinse le sue creazioni. Riteneva infatti che all’impiego di materiali a basso costo dovesse corrispondere anche la maggiore qualità possibile degli stessi e una durata della batteria accettabile. Questa filosofia, peraltro ancora riscontrabile nell’operato Nintendo, prese il nome di Lateral Thinking of Whitered Technology.
Nel 1977 si aggiunse all’azienda Shigeru Miyamoto, allora venticinquenne. Gunpei lo prese sin da subito sotto la sua ala protettiva, e i due nel 1981 crearono un arcade game passato alla storia: Donkey Kong.

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L’impresa di Kyoto tentò dunque di sfondare anche nel mercato dei videogiochi casalinghi. Un primo tentativo, a dire il vero, c’era stato già con il Color Tv Game, ma non aveva avuto troppo successo.
Questa volta però le intenzioni erano molto più serie…
Nel 1983, Nintendo si preparava a lanciare il Famicom (NES per i giocatori americani ed europei), ma disgraziatamente proprio in quegli anni l’industria del videogioco stava passando un grave periodo di crisi, ed i negozianti non erano intenzionati a riempire i loro magazzini di un prodotto che rischiava seriamente di rimanere invenduto.
Era il momento di ritirare fuori l’asso dalla manica. Yokoi, che già aveva collaborato allo sviluppo dell’hardware della nuova console (come per i controller, dove utilizzò per la prima volta dei tasti rotondi, in modo che non s’incastrassero nello chassis esterno), riprese, in un certo senso, a fare ciò che aveva fatto anni prima: creare giocattoli. Nacquero così R.O.B. (Robotic Operating Buddy) e la fantomatica pistola Zapper, entrambi inclusi nel NES Deluxe Set. Ciò fece passare il Nes per una specie di “giocattolone” e convinse i negozianti a ritirare le loro perplessità, permettendo a Nintendo di vendere ben un milione di unità in un solo anno.

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Yokoi poi supportò il Famicom anche dal punto di vista software. Suoi sono, infatti, numerosi giochi che ebbero una notevole importanza per la nuova console. Tra questi ricordiamo Fire Emblem, Dr. Mario, Kid Icarus e, ovviamente, Metroid.

Ormai Nintendo s’era instaurata con successo nel panorama videoludico. Era dunque ora di tentare nuovi orizzonti.
Nel 1989 l’R&D1 produsse il primo Game Boy, capostipite di un brand destinato a dominare sul mercato delle console portatili, vendendo in dieci anni più di 80 milioni di unità. Così come il Game and Watch, si rinunciò ad avere una console tecnologicamente “all’ultimo grido”, in modo da garantire un prezzo più basso e una durata della batteria più che accettabile. Si dice che Yokoi stesso insistette per ritardare l’uscita in modo da fornire al Game Boy un’autonomia maggiore. E i dati di vendita ancora una volta diedero ragione all’ingegnere di Kyoto. Persino una console rivale seducente come la Lynx, che aveva uno schermo a colori ma che richiedeva sei batterie AA per 4 ore di gioco, fu costretta a capitolare, come del resto accadde al Game Gear negli anni ’90.
Anche nel caso del Game Boy Yokoi non si concentrò solo sull’hardware. L’R&D1 collaborò allo sviluppo del software integrato della Game Boy Camera, oltre a produrre un numero consistente di giochi: Alleway, Baloon Kid, Kid Icarus: of Myths and Monsters, Metroid II: Return of Samus, Radar Mission, Super Mario Land, Super Mario Land2: 6 Golden Coins, Wario Land I e II e Kirby’s Block Ball, tra i tanti.

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Fu proprio il Game Boy con il suo successo a stabilire definitivamente la supremazia, in campo creativo, di Yokoi. Supremazia che purtroppo, una volta raggiunta, parve crollare definitivamente.
Nel 1993 il nostro iniziò a lavorare sul famigerato Virtual Boy, lanciato due anni dopo. A dire la verità Yokoi non voleva presentare il prodotto così presto, a causa di diversi problemi hardware che invece avrebbe potuto risolvere con un po’ di tempo in più a disposizione. Ma Hiroshi Yamauchi non volle sentire ragioni, e il Virtual Boy raggiunse gli scaffali. Il risultato non fu certo dei migliori: nonostante la fiducia di alcuni appassionati che comprarono il nuovo hardware, le vendite non superarono le 770.000 unità e la console non venne quindi esportata in Europa. La macchina stessa, inoltre, rispettava ben poco la filosofia di Yokoi: era infatti scomoda (doveva essere utilizzata con un supporto, nonostante fosse una console portatile), troppo delicata (in seguito a colpi accidentali, gli specchi interni potevano rompersi con estrema facilità) e molto costosa: al lancio costava ben 179,95 dollari.

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Inoltre, i colori scelti per la visualizzazione delle immagini 3D, rosso e nero, pur permettendo una discreta (ma non ottima) durata delle batterie, causavano problemi di visualizzazione e, in rari casi, addirittura nausea e vertigini, cosa che in parte contribuì al ritiro della console nel giro di un anno.
Si trattava del primo grande flop di Nintendo.
Yokoi stesso ne fu grandemente demoralizzato e il 15 agosto del 1996 decise di licenziarsi. Alcuni dipendenti dissero che Nintendo stessa non aveva esattamente scoraggiato tale manovra, ma in ogni caso Gunpei rimase vicino alla Grande N anche dopo essersene andato. Mantenne infatti i contatti con i suoi ex-impiegati e in qualche caso offrì la sua consulenza per questioni riguardanti il loro lavoro.

Successivamente, Yokoi fondò una sua compagnia, Koto Laboratory, che presto iniziò a collaborare con Bandai per una nuova console portatile, WonderSwan, in gran parte disegnata da Gunpei.
Purtroppo per Yokoi, questo fu davvero il suo canto del cigno, anzi, nemmeno poté vederlo sul mercato.

Il 4 ottobre 1997, Gunpei e Etsuo Kiso, impiegato Nintendo, stavano percorrendo la Hokuriku Expressway, a Neagarimachi, nella Prefattura di Ishikawa, quando urtarono la vettura che li precedeva. Incolumi, accostarono e scesero per controllare i danni, ma una macchina li investì entrambi. Kiso se la cavò con una costola rotta. Yokoi invece morì dopo due ore. Aveva 56 anni.

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Dalla sua scomparsa, a Yokoi furono assegnati diversi riconoscimenti, come il Game Developers Associations Lifetime Achievement Award. Il primo videogioco pubblicato per WonderSwan, uscito nel 1999, fu chiamato Gunpey in suo onore.
Chi lo conosceva lo descrive così: un uomo con un grande senso dell’humor, sorridente e modesto al punto di non prendersi mai il merito delle sue invenzioni, affermando invece che chiunque ci sarebbe potuto arrivare.
Tanto modesto che forse oggi pare che il mondo si sia dimenticato di lui. Ma di certo Yokoi continua a vivere, silenziosamente, nelle sue console e nei suoi giochi, come una leggenda.